Le donne impegnate nel mondo del lavoro sono sicuramente in aumento rispetto a qualche decennio fa; molte privilegiano gli impegni professionali e la carriera rinunciando alla vita privata, altre cercano di conciliare le due cose con risultati più o meno positivi, altre ancora, dopo un periodo lavorativo, decidono di dedicarsi totalmente alla famiglia.

La figura del ricercatore/trice è senz’altro una di quelle più affascinanti e controverse. Nonostante le numerose eccellenze riconosciute a livello internazionale, le donne che ricoprono posizioni di rilievo o di responsabilità nel mondo scientifico sono ancora poche. Montalcini, Hack, Cristoforetti, Cattaneo, Capua sono solo alcuni dei nomi più conosciuti di “donne scienziate” in Italia e molte sono quelle “nascoste” nei laboratori. Molteplici sono le iniziative messe in atto per dare il giusto riconoscimento e visibilità a tutte quelle donne che si sono distinte nel loro campo, non solo della ricerca. A questo proposito, ad esempio, di recente è stato consegnato il premio “Mela d’oro” della Fondazione Bellisario a una decina di donne “con una marcia in più” che operano attivamente nel mondo accademico, della ricerca, dell’informazione, del management, dell’economia e del sociale. Molte di queste donne, famose o meno, hanno un valore aggiunto all’essere professioniste del loro lavoro: essere mamme. Fare la mamma, si sa, è considerato un “lavoro a tempo pieno”: com’è allora essere, oltre che mamma, anche ricercatrice?

Per cercare di andare dietro le quinte di questo mondo complesso, sono state rivolte alcune domande a Lara Paracchini, giovane mamma-ricercatrice dell’IRCSS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano.

Quando hai capito che il tuo mondo è la ricerca? Di cosa ti occupi? “Al liceo, da quando cioè ho iniziato a studiare la biologia. Rileggevo continuamente i paragrafi dove venivano sommariamente descritte le malattie e le alterazioni biologiche che le caratterizzavano. Oggi lavoro presso il laboratorio di farmacologia antitumorale dove mi occupo di tumore ovarico”.

Quale ritieni sia la più grande soddisfazione che hai ottenuto come mamma? E come ricercatrice?  “Da neo-mamma posso dire che le soddisfazioni sono quotidiane! Mia figlia ha nove mesi e per lei è tutto nuovo, puro e da scoprire. I suoi piccoli (ma grandi) traguardi e il suo sorriso sono la mia più grande soddisfazione. Come ricercatrice invece ho la fortuna di lavorare in un settore che ho sempre amato e in un bel gruppo. Si condividono successi e grattacapi ma alla fine lavorare uniti per un importante obiettivo comune è ciò che mi rende soddisfatta”.

Come riesci a conciliare tutto? (Ride)“Non sono certa di riuscire, diciamo che faccio il possibile per organizzarmi al meglio e ottimizzare i tempi. Con una famiglia, soprattutto con una bambina piccola, si modificano necessariamente i ritmi. Per me la sfera personale e quella lavorativa sono entrambe irrinunciabili; tutto sta nel farle diventare complementari. È certamente faticoso conciliare tutto ma anche per questo sono molto contenta per quello che sto realizzando sia nella vita privata, sia in quella professionale”.

Come vedi la ricerca in mano alle donne? È diversa rispetto a come viene “gestita” dagli uomini? “Penso che il valore e la qualità della ricerca e del lavoro in generale si debba basare sul merito più che sulla differenza di genere. Apprezzo le idee, la competenza e l’entusiasmo indipendentemente dal sesso delle persone.”

Avere una famiglia da organizzare è un valore aggiunto al tuo lavoro o un ulteriore impegno? “La famiglia è una responsabilità e un grande impegno. Io e mio marito siamo molto collaborativi, ma la fatica ogni tanto si fa comunque sentire. Sono scelte personali, due percorsi paralleli importanti che cerco di portare avanti nel migliore dei modi”.

Cosa potrebbe fare un datore di lavoro per favorire il lavoro delle mamme? “Più che al datore di lavoro bisognerebbe guardare alla società e all’organizzazione del lavoro in generale. Ho letto che il livello di sviluppo di un popolo, di una società, si valuta sulle risorse che mette nella cura della propria infanzia. Basandomi sulla mia esperienza personale, penso che manchi, o sia comunque ancora da ottimizzare, un valido e reale supporto alle mamme lavoratrici. Disponibilità delle strutture, flessibilità di orari e una buona dose di umana comprensione sono elementi necessari per favorire le donne che come me vogliono continuare a far parte del meraviglioso mondo della ricerca e del popoloso club delle mamme”.

Storie di vita ed esperienze simili si ripetono anche oltreoceano.
A questo proposito è stato da poco pubblicato sulla rivista “Science” il racconto di un’altra mamma-ricercatrice, Paula, che si è trovata a dover conciliare la grande passione per la ricerca, e i sacrifici che questa comporta, con l’amore per la figlia. Di origine argentina, dopo aver trascorso quattro anni in un laboratorio di ricerca negli Stati Uniti e la nascita di Julieta, ha vinto un premio di ricerca in Repubblica Ceca. Data la grande opportunità, ha deciso di trasferirsi con la figlia, nonostante fosse ancora piccola. Le difficoltà non sono mancate ma “Dopo questa esperienza ho capito che era necessario cambiare la modalità con la quale viaggio per lavoro, […] ho imparato a ottimizzare le ore di lavoro, a progettare il futuro in maniera flessibile […] e a chiedere aiuto agli altri sia nella vita privata sia nel lavoro. Nonostante tutte le sfide sono contenta di essere una mamma e una scienziata […]”.

Silvia Radrezza
Laboratorio di ricerca sul coinvolgimento dei cittadini in sanità
Dipartimento di Salute Pubblica
IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri

Per Approfondire:
S. Scampini,“Perché le donne valgono anche se guadagnano meno degli uomini”, Cairo Publishing, 2016
http://www.isetbyrarecells.com/premio-mela-doro-2017-fondazione-marisa-bellisario-patrizia-paterlini-brechot/

http://scienze.fanpage.it/le-7-scienziate-italiane-piu-famose-della-storia/

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