Da alcuni anni gli oncologi di tutto il mondo si “ritrovano all’ASCO”, cioè partecipano al Congresso Americano degli oncologi medici a Chicago. Questo appuntamento rappresenta un momento per fare il punto della situazione sui risultati che la ricerca clinica ha prodotto nell’ultimo anno e discutere quali saranno gli scenari futuri.

Un primo risultato, che sta già avendo eco anche in Europa e in Italia,è la presentazione dei dati dello studio clinico TAILORX (Trial Assigning IndividuaLised Options for tReatment) e la loro pubblicazione sulla prestigiosa rivista americana The New England Journal of Medicine.

I risultati di questo studio clinico potrebbero aiutare le donne con una particolare forma di tumore al seno e i loro medici a decidere meglio sulla necessità o meno di iniziare la chemioterapia dopo l’intervento chirurgico. I risultati di questo studio sono frutto di almeno 15 anni di lavoro e di ricerca e sono un classico esempio di come le conoscenze sulla biologia molecolare dei tumori possano realmente aiutare a capire meglio la malattia e quindi a scegliere la cura migliore. La biologia molecolare studia infatti le interazioni tra le macromolecole che costituiscono le nostre cellule, cioè le proteine, il DNA e l’RNA.

Quali sono gli obiettivi dello studio?
Lo studio clinico TAILORX ha cercato di rispondere ad una domanda molto semplice: in donne con tumore al seno che non hanno metastasi linfonodali, sono positive per il recettore ormonale (HR+) e non hanno amplificazione del gene HER-2 (HER-2-)è necessario, dopo intervento chirurgico,proporre cicli di chemioterapia? Oppure la semplice ormonoterapia e sufficiente per garantire loro una guarigione completa? Questa domanda è importante sia per la paziente,perché vuol dire evitare di esporre la donna agli effetti tossici della chemioterapia quando non è necessario, sia per il medico per evitare di dare trattamenti che non servono dovendo poi gestire gli effetti collaterali della chemioterapia. Rispondere a questa domanda vuol dire andare a studiare la biologia molecolare del tumore perché gli attuali parametri clinici e patologici non sono in grado di farlo. Un test molecolare, chiamato Oncotype-DX® è in grado di dare una prima risposta a questa domanda.

Cos’è il test molecolare?
Nel 2002 venne per la prima volta pubblicato un lavoro sempre sul New England Journal of Medicine dalla ricercatrice van de Vijver in cui si cercava di rispondere a questa domanda analizzando per la prima volta il profilo di espressione dei geni espressi nella cellula tumorale prelevata da una biopsia. I risultati dello studio dimostrarono che una firma molecolare basata sull’espressione di circa 80 geni, identificava quelle pazienti a più alto rischio di recidiva per le quali era meglio l’utilizzo della chemioterapia in aggiunta alla ormonoterapia. Diversamente, le pazienti con una firma molecolare a basso rischio potevano essere trattate semplicemente con terapia ormonale. Era il primo lavoro in cui si metteva in luce come le caratteristiche biologiche della malattia all’esordio possono influenzare il suo decorso clinico. È stato il primo esempio di medicina personalizzata. Una medicina dove il temine “personalizzata” non identifica il farmaco che può trattare meglio la malattia, ma se trattare o meno un paziente evitando di esporlo a cure che non sono necessarie.

Come funziona il test?
Il test si basa sull’analisi del profilo di espressone genica di 21 geni: 16 geni associati al tumore e 5 di riferimento. L’analisi viene eseguita sull’RNA estratto dalla paziente dopo l’intervento chirurgico. I risultati del test sono presentati con un punteggio da 0-100, che indica la percentuale di rischio di recidivare della paziente. In passato si considerava sotto il 10% come basso rischio e sopra il 30% come ad alto rischio. La zona in mezzo, in cui purtroppo ricadevano moltissimi dei casi analizzati, era considerata una zona grigia di indecisione. Lo studio TAILORDX ha cercato di capire se si potesse restringere l’ampiezza di questa zona grigia.

Cosa ha dimostrato lo studio?
Lo studio ha analizzato in modo prospettico il profilo di espressione dei 21 geni contenuti nel test OncotypeDX nelle biopsie di oltre 10.000pazienti che avevano ricevuto diagnosi di tumore al seno HR+, HER-2- e senza invasione linfonodale.In quelle pazienti che dopo il test OncotypeDX avevano un punteggio intermedio, da 11 a 25,è stato dimostrato che la chemioterapia non aggiungeva alcun vantaggio in termini di sopravvivenza rispetto alle pazienti trattate solamente con la ormonoterapia. Questo era vero per le pazienti che al momento della diagnosi avevano circa 70 anni di vita. Diversamente, nelle pazienti più giovani con età alla diagnosi intorno ai 50 anni, è vantaggioso in termini di sopravvivenza combinare la ormonoterapia con la chemioterapia.

È disponibile in Italia il test?
Il test non è fornito in Italia dal Servizio Sanitario Nazionale per cui è a carico del paziente e viene effettuato solo in alcuni centri specialistici di riferimento per il tumore al seno.

In conclusione, questo studio dimostra in modo inequivocabile che anche se il percorso è lento, la ricerca e la possibilità di fare studi clinici controllati sono fondamentali per poter progredire nella ottimizzazione delle cure, sia in oncologia che in tutti gli altri settori della medicina. Per il tumore dell’ovaio la strada è ancora tutta da esplorare. Tuttavia, l’esempio del tumore al seno può essere da stimolo per nuove ricerche. La banca dati Pandora sul tumore dell’ovaio esiste proprio per favorire la ricerca di nuove strade per migliorare la sopravvivenza.

Sergio Marchini
Dipartimento di Oncologia
IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Milano

Referenze
Sparano JA et al. Adjuvant Chemotherapy Guided by a 21-Gene Expression Assay in Breast Cancer. N Engl J Med 2018 Jun 3. doi: 10.1056/NEJMoa1804710.
van de Vijver MJ. A gene-expression signature as a predictor of survival in breast cancer. N Engl J Med 2002;347(25):1999-2009.

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