I risultati di un importante ricerca scientifica condotta dai ricercatori del Dipartimento di Oncologia dell’Istituto Mario Negri IRCCS di Milano e pubblicata in questi giorni sulla prestigiosa rivista americana JAMA Oncology Network apre una nuova frontiera per la diagnosi precoce del tumore epiteliale maligno sieroso ad alto grado dell’ovaio.
Come sappiamo uno dei grossi limiti nel trattamento del tumore sieroso ad alto grado dell’ovaio è la mancanza di sintomi che suggeriscano alle pazienti di recarsi dal medico in modo tempestivo e fare una diagnosi precoce. Nell’80% dei casi la malattia viene diagnosticata tardivamente, quando è già metastatica. Diversamente, quando, in modo del tutto occasionale, la malattia viene diagnosticata senza alcuna metastasi (circa il 10% delle pazienti) la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi supera l’80%. Questo quadro ci dice in modo molto semplice quanto sia importante cercare di arrivare ad una diagnosi sempre più precoce in modo da togliere al tumore ovarico l’appellativo di “killer silenzioso”.
La strada verso lo sviluppo di test per la diagnosi precoce è da sempre piena di ostacoli e di difficoltà a causa della posizione anatomica delle ovaie e della completa mancanza di sintomi specifici.
Capire dove nasce per capire come fare diagnosi precoce
Come abbiamo più volte detto, il termine tumore ovarico è un lessico sbagliato in quanto la malattia più che dalle ovaie sembra originarsi da altri organi genitali femminili, quali le fimbrie e da li diffondersi solo in secondo momento sulla superfice dell’ovaio e della cavità peritoneale. Per questa ragione da alcuni anni diversi gruppi di ricerca hanno incominciato a domandarsi se non fosse possibile utilizzare un comune test di screening largamente utilizzato a scopo preventivo, come il Pap test per fare diagnosi precoce oltre che per il tumore dell’endometrio e della cervice uterina anche per il tumore ovarico. L’idea di questo approccio nasce dalla continuità anatomica tra la cervice uterina e gli organi genitali femminili superiori, come le fimbrie dove appunto si sa origini il tumore ovarico sieroso ad alto grado.
Una strada in salita
L’idea è affascinante ma la strada è in salita perché la quantità di cellule tumorali che possono essere raccolte con il Pap test è molto molto scarsa e quindi qualsiasi sistema di screening avrebbe avuto dei problemi di sensibilità e specificità. La tecnologia ha fornito in questi anni gli strumenti per risolvere alcuni di questi problemi. Lo sviluppo delle tecniche di sequenziamento del DNA non solo ha permesso di identificare tracce di DNA tumorale nel sangue dei pazienti ma grazie alla sua sensibilità ha permesso di identificare quelle tracce di DNA tumorale proveniente dalle prime lesioni tumorali presenti nelle fimbrie e da cui si sarebbe poi sviluppato il tumore. I dati raccolti in questi anni sottolineano che il tumore sieroso ad alto grado si sviluppa dalle fimbrie e che una delle sue prime mutazioni, che colpisce il genoma della cellula che da normale si sta trasformando in tumorale, è a carico del gene TP53 – il noto guardiano del genoma. Intercettare questa mutazione vuol dire intercettare i primi passi della trasformazione tumorale. I dati pubblicati in questi anni avevano dimostrato la fattibilità di questa strada ma anche la difficoltà in quanto nonostante la sensibilità della tecnica di NGS, la capacità di intercettare questa “sentinella” era sempre intorno al 40% dei casi.
L’unione fa la forza
Il lavoro pubblicato su JAMA Oncology Network dal gruppo dei ricercatori del Mario Negri IRCCS ha dimostrato, attraverso la combinazione di due tecnologie che era possibile identificare la mutazione sentinella nel gene TP53 fino a sei anni prima della diagnosi di malattia, un tempo di sviluppo questo del tutto compatibile con i modelli di sviluppo del tumore ovarico. I ricercatori hanno condotto questo studio pilota su 20 pazienti di cui erano disponibile sia il Pap test al tempo della diagnosi che negli anni precedenti all’intervento chirurgico. Il lavoro si è avvalso di due tecnologie, la tecnologia NGS per identificare la mutazione patogenica di TP53 nel tumore e poi la digital droplet PCR (ddPCR) per seguire negli anni precedenti le tracce di questa mutazione. La ddPCR, a differenza della NGS, ha il vantaggio di essere almeno 100 volte più sensibile della tecnica NGS ma può guardare solo pochi frammenti del DNA e quindi bisogna sapere esattamente prima cosa cercare. Come Pollicino che seguiva le sue tracce per tornare a casa, i ricercatori hanno tracciato nel tempo questa mutazione arrivando fino a sei anni prima della diagnosi.
Passi futuri
Questa scoperta apre una nuova strada alla possibilità di diagnosi precoce del tumore ovarico sieroso ad alto grado. Se anticipiamo la diagnosi possiamo curare meglio e con più facilità le pazienti. Per fare questo è già in corso la pianificazione di una serie di studi retrospettivi per raccogliere più casi e validare sia i risultati che le tecniche di analisi per mettere poi la messa a punto di un trial clinico prospettico che permetta di seguire le pazienti, in particolar modo quelle in sorveglianza per rischio di sindromi eredo famigliari, e capire quando intervenire.
Uno studio che nasce dalle sinergie di più persone
Il risultato di questo lavoro nasce da una sinergia tra diversi gruppi di ricerca in cui biologi, medici, statistici, informatici hanno collaborato assieme da anni per raggiungere questo importante traguardo. I risultati di questo lavoro spingeranno anche negli anni a venire ad aggregare sempre più gruppi per fare massa critica e migliorare e facilitare il percorso verso la diagnosi precoce del tumore ovarico.
Sergio Marchini
Dipartimento di Oncologia
Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS
Per saperne di più
Detection of TP53 Clonal Variants in Papanicolaou Test Samples Collected up to 6 Years Prior to High-Grade Serous Epithelial Ovarian Cancer Diagnosis
Lara Paracchini, MSc; Chiara Pesenti, MSc; Martina Delle Marchette, MD; Luca Beltrame, PhD; Tommaso Bianchi, MD; Tommaso Grassi, MD;