In diversi articoli del sito è sottolineata l’importanza degli studi clinici controllati (in inglese trial) per introdurre nella pratica clinica nuovi farmaci o nuove combinazioni di farmaci. Prendendo spunto da un lavoro scientifico pubblicato nel mese di marzo sulla rivista scientifica “The Lancet Oncology” si affronta in questo articolo il tema degli studi clinici chirurgici, cioè degli studi clinici, multicentrici e randomizzati, in cui la domanda dello studio è capire se un intervento chirurgico, e non farmacologico, porta dei benefici alle pazienti.
Gli studi clinici chirurgici sono poco frequenti perché hanno dei lunghi tempi di arruolamento a causa dei rigidi protocolli di selezione ed inclusione dei pazienti. La fase di arruolamento dei 357 pazienti reclutati per questo studio è durata infatti ben 7 anni e non sono ancora disponibili i dati sulla sopravvivenza ma solo quelli sul tempo libero da malattia, in gergo tecnico definito come PFS- progression free survival.
Quali sono gli obiettivi di questo studio?
SOC-1, questo il nome dello studio pubblicato, è uno studio chirurgico di fase III multicentrico in pazienti con tumore ovarico con recidiva platino sensibile. Lo studio è stato svolto in quattro centri ospedalieri cinesi e si è posto questa domanda: nelle pazienti con diagnosi di tumore ovarico con recidiva platino sensibile l’aggiunta della seconda chirurgia può portare un miglioramento in termini di durata del tempo libero da malattia e di sopravvivenza globale?
Perché fare una seconda chirurgia?
Come è noto nella maggior parte dei protocolli terapeutici per il tumore ovarico, la prima chirurgia è obbligatoria e ha una doppia valenza: la prima è puramente diagnostica, in quanto la chirurgia è l’unico strumento disponibile per permettere una diagnosi precisa del tumore ovarico. La seconda è terapeutica in quanto serve per ridurre il più possibile l’estensione della massa tumorale. Il tumore residuo, cioè la massa tumorale che il chirurgo non riesce a rimuovere, è ancora oggi considerato il principale fattore prognostico. Le pazienti con tumore residuo pari a zero, cioè quelle donne in cui il chirurgo ha eliminato ogni traccia visibile di cellule tumorali, hanno migliori possibilità di guarire rispetto a quelle donne con tumore residuo maggiore di circa due centimetri. La seconda chirurgia, cioè la decisione di portare nuovamente le pazienti in sala operatoria quando viene diagnosticato loro una recidiva, non è una pratica consigliata in clinica se non in casi particolari per eliminare delle complicazioni mediche, come ad esempio delle occlusioni intestinali, che possono compromettere la vita della paziente.
La questione se sia vantaggioso o meno esporre le pazienti che hanno una recidiva ai rischi di un secondo intervento chirurgico è una domanda che serpeggia da molti anni nel campo biomedico e già altri due studi clinici chirurgici, il GOG-0213 e il DESKTOPIII, hanno cercato di rispondere anche se con risultati contrastanti. Nello studio DESKTOPIII le pazienti che hanno subito un secondo intervento hanno una sopravvivenza migliore rispetto a quelle che non hanno fatto il secondo intervento, mentre nello studio americano GOG-0213 i dati sono l’opposto.
Quali sono stati i risultati dello Studio SOC-1?
Lo studio ha dimostrato che nelle pazienti che dopo la prima linea, al momento della recidiva facevano un secondo intervento chirurgico prima della seconda linea di platino e taxolo, il tempo libero da malattia (PFS) era di 17,4 mesi mentre il gruppo controllo, cioè il gruppo che faceva la sola seconda linea, il tempo era di 11,9 mesi. In pratica, operare nuovamente le pazienti prima di una seconda linea di terapia dava un vantaggio di circa 6 mesi in termini di tempo libero da malattia. Questi dati erano in linea con quelli precedentemente ottenuti all’interno di altri due studi clinici chirurgici, il DESKTOPIII, coordinato dal gruppo europeo AGO, e lo studio chirurgico americano GOG-0213. Non sappiamo ancora nulla in merito al vantaggio in termini di sopravvivenza globale.
Quali sono le criticità dello studio?
La realizzazione di questo studio clinico ha richiesto circa 7 anni e in questi ultimi anni i protocolli chemioterapeutici, soprattutto quelli di prima linea, sono cambiati profondamente, prima con l’aggiunta del bavacizumab e poi con l’aggiunta della terapia di mantenimento con PARPi. Queste modifiche stanno cambiando le risposte delle pazienti alla prima linea e i parametri con cui oggi stabiliamo se una paziente è platino sensibile o platino resistente. Quindi la principale criticità dello studio è che i risultati si applichino ad una coorte di pazienti che non è più rappresentativa della realtà clinica. Da questo punto di vista gli organizzatori di studi clinici dovrebbero attentamente valutare i tempi necessari per raggiungere gli obiettivi, dovrebbero prodigarsi per incrementare il numero di centri partecipanti e il numero delle donne partecipanti. Il tempo di durata di uno studio ha infatti una grande importanza per evitare di vanificare gli sforzi fatti nonché la disponibilità delle donne partecipanti.
Conclusioni
Questo studio, uno dei pochi che affronta il problema della chirurgia in seconda linea, ha una sua rilevanza dal punto di vista metodologico. La ricerca scientifica si muove attraverso dei parametri molto rigidi ma universali che a volte possono anche ritardare la prosecuzione dello studio e generare dei risultati che spesso non riflettono più la realtà clinica. Tuttavia questa è l’unica strada maestra che ci permette di ottenere dei dati che siano sempre riproducibili e validi per tutti.
Sergio Marchini
Head, Molecular Pharmacology Lab
IRCCS, Humanitas Research Hospital, Milano
Per saperne di più
Shi T, et al. Secondary cytoreduction followed by chemotherapy versus chemotherapy alone in platinum-sensitive relapsed ovarian cancer (SOC-1): a multicentre, open-label, randomised, phase 3 trial. Lancet Oncol. 2021 Apr;22(4):439-449. doi: 10.1016/S1470-2045(21)00006-1.