Il ruolo dell’infezione da papillomavirus umano HPV

Il carcinoma della cervice uterina (link https://www.fondazionemattioli.it/i-tumori-della-cervice-uterina-o-del-collo-dellutero/) rappresenta ad oggi uno dei tumori più frequenti nelle donne: si tratta della seconda neoplasia per incidenza nel sesso femminile. Nonostante il miglioramento della diagnosi, dello screening e della vaccinazione rappresenta comunque un problema di rilevanza sia medica che sociale: se infatti nei paesi Occidentali l’incidenza e di conseguenza la mortalità è in costante riduzione, nei paesi a basso e medio reddito il peso della malattia è ancora rilevante. Tra i principali fattori di rischio si possono elencare: l’inizio precoce dell’attività sessuale, l’elevato numero di partner sessuali, la giovane età alla prima gravidanza, il fumo e l’utilizzo di terapia estro-progestinica, per citarne solo alcuni.

Il fattore principale è comunque attribuito all’infezione da papillomavirus umano HPV, il cui DNA si ritrova infatti nel 99,7% dei carcinomi della cervice uterina. Sono stati identificati circa 200 “tipi” di papillomavirus umano HPV di cui circa 30 sembrano essere associati allo sviluppo di tumori. I ceppi principalmente responsabili di questo tipo di neoplasia sono: 16, 18, 45, 31, 33, 58, 52. Nella maggior parte dei casi il virus viene eliminato dal sistema immunitario – entro 2 anni il 90% delle donne supera l’infezione – e qualora persista non tutte le infezioni persistenti evolvono verso lesioni precancerose di alto grado e non tutte queste evolvono verso il cancro. In alcuni casi però l’infezione può portare alla formazione di lesioni precancerose e al carcinoma della cervice uterina.

L’infezione da papillomavirus umano HPV, tuttavia è una condizione necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo di questa neoplasia. Si tratta infatti di una condizione molto comune (si stima che circa il 70% della popolazione venga a contatto almeno una volta nella vita con uno di questi virus) ma l’incidenza della malattia è decisamente inferiore (circa 1.500 casi ogni anno in Italia). Solitamente l’infezione viene acquisita precocemente nei primi anni di attività sessuale ed è ritenuta l’infezione a trasmissione sessuale più frequente nel mondo.

 

Facciamo chiarezza sullo screening: HPV-test e PAP-test

A differenza di altre neoplasie per il carcinoma della cervice uterina esiste un test di screening. Ad oggi il principale è l’HPV-test che sta progressivamente sostituendo il PAP-test (test di Papanicolau).

 

Il PAP-test consiste nel prelievo di materiale proveniente dalla portio e dall’endocervice che viene in seguito striasciato su un vetrino, colorato con la colorazione di Papanicolau e successivamente analizzato dal patologo che potrà vedere cellule normali, cellule con modificazioni del tutto benigne, cellule infiammatorie o cellule con alterazioni maligne di vario grado. Questo tipo di screening viene eseguito a partire dai 25 anni di età e ripetuto ogni 3 anni in caso di esito negativo.

 

L’HPV-test è un test che individua la presenza di DNA virale nelle cellule epiteliali della cervice uterina con le stesse modalità di prelievo del PAP-test e viene eseguito ogni 5 anni in caso di esito negativo a partire dai 30 anni di età.

 

La sostanziale differenza fra i due screening è che mentre il PAP-test individua le lesioni precancerose che possono evolvere in tumore, l’HPV-test individua invece l’infezione e le donne a rischio di sviluppare lesioni precancerose e quindi il carcinoma vero e proprio. Un’altra differenza abbastanza importante riguarda l’età a cui effettuare questi due tipi di screening: nelle giovani donne la prevalenza dell’infezione da papillomavirus umano HPV è sicuramente maggiore ma si tratta spesso di infezioni autolimitanti, quindi solo poche di queste saranno persistenti. Quindi per il momento il test di screening per le più giovani resta il PAP-test che continua ad essere il più efficace mezzo di prevenzione. Nel caso in cui l’HPV-test sia positivo sarà necessario effettuare un PAP-test tradizionale e nel caso anche questo risulti positivo, una colposcopia. Una volta chiarito l’esito anatomopatologico la paziente potrà essere indirizzata se necessario verso l’intervento chirurgico di conizzazione o chirurgia maggiore o ad un follow-up colposcopico ravvicinato.

 

E la vaccinazione?

Oltre ad un corretto stile di vita, la prevenzione primaria si basa sulla vaccinazione. I vaccini attualmente disponibili sono:

  • vaccino bivalente (Cervarix) attivo contro i ceppi HPV 16 e 18 (responsabili da soli di circa il 50% di tutte le infezioni)
  • vaccino quadrivalente (Gardasil) attivo contro i ceppi HPV16-18 e HPV 6-11 (questi ultimi responsabili della condilomatosi genitale)
  • vaccino nonavalente (Gardasil9) che comprende oltre ai precedenti anche i sierotipi HPV 31-33-45-52-58

La vaccinazione è indicata a partire dai 9 anni di età. In Italia il nuovo Piano Nazionale Prevenzione vaccini 2017-2019 prevede la vaccinazione dal dodicesimo anno di vita a tutta la popolazione sia maschile che femminile. L’obiettivo è quello di prevenire lo sviluppo di tumori papillomavirus umano HPV correlati – tumore del pene, tumore dell’ano, tumore orofaringeo – attraverso la vaccinazione degli adolescenti di entrambi i sessi. Sono previste due dosi a 0 e 6 mesi nei soggetti fino a 14 anni (bivalente) e a 13 (tetravalente). Oltre tale età sono previste tre dosi a 0, 1-2 e 6 mesi. È comunque consigliata una vaccinazione di recupero (catch-up) fino ai 26 anni per le donne non precedentemente vaccinate o che non hanno ricevuto tutte le dosi previste. Dopo i 26 anni non è al momento prevista la vaccinazione di routine in quanto, aumentando la possibilità di essere stati esposti al virus, si riduce il rapporto costo-beneficio. Tuttavia, nelle donne in cui il rischio di pregressa esposizione è piuttosto basso la vaccinazione continua ad essere consigliata.

 

In conclusione: cosa fare

Il vaccino contro il papillomavirus umano HPV rimane lo strumento più efficace per la prevenzione del carcinoma della cervice uterina, ma, non coprendo tutti i ceppi oncogeni conosciuti, lo screening continua ad essere fondamentale anche nelle donne vaccinate.

 

 

Maria Elena Laudani e Giulia Parpinel

Università degli Studi di Torino,

Scuola di Specializzazione in Ginecologia e Ostetricia,

Dipartimento di Scienze Chirurgiche

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