In questi anni, l’avvento della biologia molecolare ha permesso di acquisire molte informazioni sulle caratteristiche biologiche dei tumori umani e in molti casi queste nuove conoscenze hanno aiutato i clinici a raffinare la loro diagnosi nonché guidare la terapia farmacologica. Ad esempio, per i tumori del polmone, del seno, e dell’endometrio abbiamo capito che malattie apparentemente molto simili dal punto di vista istologico sono in realtà molto diverse dal punto di vista molecolare e queste differenze hanno una grossa rilevanza nel definire il decorso clinico del paziente e nella scelta del piano terapeutico. Grazie alla continua innovazione tecnologica, queste analisi molecolari sono oramai entrate nella pratica clinica e servono al medico per capire subito di quale sottotipo di malattia si tratti e quale possa essere lo strumento terapeutico migliore da proporre al paziente. In generale, si pensa che la storia molecolare del tumore influenzi in modo significativo il suo decorso clinico e quindi definire l’assetto del genoma tumorale, capire quali sono le prime alterazioni molecolari che innescano il processo di trasformazione neoplastica è un buon punto di partenza per pianificare una terapia e un protocollo terapeutico adeguato. In pratica, è come se attraverso queste caratteristiche riuscissimo a capire subito il livello di aggressività del tumore (in inglese “born to be bad, or born to be good”, cioè nato per essere cattivo, o nato per essere buono).

Cosa si sa per i tumori ovarici?

Come sempre il tumore ovarico rappresenta una sfida dal punto di vista molecolare in quanto le attuali conoscenze sulla sua biologia molecolare sono ancora largamente insufficienti per essere utilizzate in clinica a scopo diagnostico o terapeutico. Questo purtroppo succede non perché il tumore ovarico sia “ignorato” rispetto ad altre patologie, ma perché è una malattia molto più complessa, eterogenea e con diverse sedi e tessuti di origine. Come abbiamo ripetuto più volte, “tumore ovarico” è un termine generale in quanto si tratta non di una singola malattia ma di una serie di malattie diverse. Ad esempio, i dati ottenuti negli anni passati sul tumore sieroso ad alto grado avevano dimostrato che esistono almeno cinque diversi sottotipi molecolari caratterizzati da diverse firme trascrizionali, ma nessuno di queste informazioni è mai servita per cambiare la diagnosi o la terapia farmacologica. L’avvento dei farmaci PARPi e il paradigma della “cicatrice genomica” (“genomic scar”) hanno dimostrato come i tumori sierosi ad alto grado con difetti nei sistemi di riparazione omologa del DNA rispondano meglio alla terapia farmacologica con PARPi rispetto ai tumori sierosi ad alto grado in cui la “genomic scar” non è presente. Questa è solo la punta dell’iceberg, in quanto per tutti gli altri istotipi (i.e., sieroso a basso grado, mucinoso, a cellule chiare ed endometroide) il quadro molecolare è ancora tutto da comporre.

C’è qualche novità?

Sulla rivista internazionale European Journal of Cancer sono appena stati pubblicati i risultati di uno studio di ricerca traslazionale, guidato da un team di ricercatori dell’IRCCS Humanitas di Rozzano, che ha dimostrato come sia possibile identificare nei tumori ovarici, indipendentemente dal tipo istologico, almeno tre classi molecolari caratterizzate da diversi tipi di alterazioni strutturali. Questa classificazione ha un importante valore prognostico, in quanto in base al tipo di alterazione strutturale presente alla diagnosi è possibile identificare un diverso decorso clinico. In pratica, lo studio risponde alla domanda inziale su quali siano le caratteristiche molecolari del tumore ovarico che fin dalla sua origine definiscono il destino della malattia (cioè quanto abbiamo detto sopra con….. born to be bad, or  born to be good).

Cosa dice lo studio?

Lo studio inizialmente focalizzato sugli stadi I ha poi esteso le sue informazioni anche agli stadi III e IV, rendendo così le informazioni generalizzabili a tutti i tumori ovarici indipendentemente dalla presenza o meno di metastasi. Come sappiamo, allo stadio I la malattia è focalizzata solo alle sole ovaie, senza metastasi e abbraccia tutti e cinque i diversi sottotipi istologici: sieroso a basso e alto grado, mucinoso, a cellule chiare e endometroide. Lo studio, di natura retrospettiva e multicentrica, ha analizzato una coorte unica di oltre 200 casi di stadi I con oltre 20 anni di follow-up e circa 60 casi di stadio III-IV. Obiettivo primario dello studio è stato quello di identificare quelle caratteristiche molecolari che, alla diagnosi, permettono di stimare il rischio per le pazienti di avere una recidiva dopo un intervento chirurgico. In questo modo si potrebbe evitare di esporre le pazienti a basso rischio (… born to be good) agli effetti tossici della terapia farmacologica e somministrarla solo alle pazienti che presentano un alto rischio di recidiva (… born to be bad). Questa è un’importante domanda clinica a cui la ricerca sta da anni cercando di dare una risposta.

In breve, l’analisi della intera collezione di alterazioni strutturali a carico del DNA ha evidenziato che il genoma dei tumori ovarici può essere classificato in tre diverse classi molecolari in base alla natura e alla quantità di alterazioni strutturali che lo caratterizzano: Stabile (S), Instabile (U) oppure Altamente Instabile (HU). Queste tre caratteristiche, S, U e HU, sono riscontrabili anche nei tumori allo stadio III e IV e in tutte le metastasi della stessa paziente. Queste osservazioni fanno ritenere che S, U e HU siano una delle prime alterazioni strutturali che compaiono durante il processo di trasformazione tumorale e per questo sono una caratteristica stabile della patologia. Le pazienti con caratteristica S sono quelle con prognosi migliore, mentre quelle con profilo U e HU tendono ad avere una prognosi peggiore. Poiché uno dei problemi aperti per gli stadi I è proprio quello di capire quali pazienti necessitino di una terapia farmacologica dopo chirurgia, è verosimile che le pazienti con profilo S siano quelle che meno di altre necessitano di terapia farmacologica (… born to be good) e quindi l’intervento chirurgico sarebbe di per sé curativo.

Si possono portare queste informazioni in clinica?

Questo è uno degli obiettivi dello studio e per questo il lavoro è stato sviluppato con una tecnica di sequenziamento massivo del DNA che non richiede particolari strumentazioni o complessi algoritmi di analisi. Il tumore ovarico, a differenza di altre patologie, non è caratterizzato da singole mutazioni in geni particolari, ma è invece caratterizzato dalla presenza di numerose e importanti alterazioni generalizzate nella struttura e organizzazione del DNA. Per questo possiamo intercettare queste anomalie cromosomiche utilizzando una tecnica di lettura molto superficiale del DNA (detta “Low Pass Whole Genome Sequecing”, o Shallow Whole Genome Sequencng, sWGS) che è in grado di evidenziare queste alterazioni. Basandosi su una lettura superficiale del DNA, la tecnica non richiede particolare sistemi di analisi o macchine in grado di gestire enormi quantità di dati e potrebbe essere facilmente implementata nei prossimi anni nei principali centri clinici di ricerca italiani e internazionali.

Sergio Marchini

Head, Molecular Pharmacology Lab

IRCCS, Humanitas Research Hospital, Milano

Per saperne di più

Pesenti C et al. Copy number alterations in stage I epithelial ovarian cancer highlight three genomic patterns associated with prognosis. Eur J Cancer. 2022; 171:85-95. doi: 10.1016/j.ejca.2022.05.005.

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