È stato stimato che circa il 19% delle pazienti che ha avuto un tumore ginecologico sviluppa un secondo tumore e la radioterapia contribuisce per circa 5% dei casi. Con malignità secondaria indotta da radioterapia si definisce un nuovo tumore che si manifesta in una zona precedentemente irradiata dopo un periodo di latenza (più di 4 anni) e con istologia diversa dal tumore primitivo (non bisogna quindi confonderlo con la recidiva).
La radioterapia è oggi un punto cardine per aumentare la sopravvivenza (quando associata ad altri trattamenti come la chirurgia o la chemioterapia), o in altri casi il trattamento di elezione per molte patologie ginecologiche, in particolare il tumore endometriale, il tumore della cervice, il tumore della vulva e della vagina. Visto il numero crescente di pazienti con tumori ginecologici e l’aumento della sopravvivenza per questa malattia, è facile intuire come sia aumentato il numero di donne trattate con radioterapia. Di conseguenza è importante che medici e pazienti conoscano l’eventualità che si manifesti una patologia rara come il tumore ginecologico secondario dopo un tumore primitivo ginecologico trattato con radioterapia.
Questa nota informativa nasce come commento ad una revisione sistematica pubblicata recentemente proprio su questo tema sull’International Journal of Gynecological Cancers, rivista di riferimento della Società Europea di Ginecologia Oncologica (ESGO).
Quali sono i fattori di rischio?
Attualmente, l’esatto meccanismo patogenetico che induce la comparsa di tumori in territori irradiati non è chiara. Il DNA è costituito da una successione di basi che costituiscono una doppia elica che diventa piuttosto fragile nel momento in cui avviene la riproduzione cellulare. Se la cellula viene esposta a radiazioni in questi momenti, queste possono produrre rotture del singolo o doppio filamento con conseguenti errori della replicazione che non sempre possono essere riparati efficientemente e che rappresentano fattori facilitanti mutazioni e carcinogenesi. Seguendo questo meccanismo si può comprendere come fra i principali fattori di rischio di neoplasia secondaria a irradiazione vi siano la dose e i volumi irradiati, la tecnica utilizzata, il tipo di tessuto irradiato e la suscettibilità genetica individuale.
Per quanto riguarda il rapporto dose/volumi, i pochi dati a nostra disposizione derivano principalmente dallo studio degli effetti delle bombe atomiche che colpirono Hiroshima e Nagasaki. I pazienti che svilupparono neoplasie secondarie erano principalmente, ma non solo, quelli esposti a oltre 2.5 Gy per volume di tessuto. Ovviamente bisogna tenere presente che questi individui furono esposti a dosi massive di radiazioni, che al giorno d’oggi con la radioterapia ipo-frazionata non vengono più raggiunte.
Analizzando la tecnica, in generale l’incidenza di queste patologie sembra aumentare nelle pazienti trattate con radioterapia a fasci esterni combinata con brachiterapia, rispetto a quelle trattate esclusivamente con l’una o con l’altra tecnica. Inoltre, la radioterapia a fasci esterni con protoni sembra indurre meno mutazioni rispetto a quella con particelle. Patologie come HIV, diabete, obesità, infezioni e malattie autoimmuni possono aumentare la radiosensibilità della paziente. Ma ciò che maggiormente la predispone sono mutazioni genetiche ereditarie come la perdita di funzione di p53 o dei geni BRCA1 e BRCA2. Inoltre, malattie genetiche ereditarie come l’atassia-teleangectasia, l’anemia di Fanconi, la progeria e la neurofibromatosi sono anch’esse correlate ad una alterata radiosensibilità.
Quali sono i tumori più frequenti?
In generale, i più frequenti tumori secondari a radiazione sono i tumori del sangue, in particolare leucemie e linfomi, o tumori solidi degli organi prossimi ai territori irradiati (come il retto, il tratto urinario e i tessuti molli circostanti). Nella revisione analizzata, il 27.7% delle pazienti ha sviluppato un tumore endometriale, che è risultato l’istotipo prevalente sebbene una importante presenza di istotipi rari (cellule chiare, sierosi), e una spiegazione possibile a questo fenomeno è che l’endometrio è un tessuto particolarmente “instabile” – si pensi ai continui cambiamenti che esso subisce mensilmente a causa del ciclo mestruale. Altri possibili istotipi sono i sarcomi uterini e, considerando le neoplasie extra-uterine, gli angiosarcomi (vulvari, vaginali, peritoneali). Si tratta comunque di malattie particolarmente rare e aggressive rispetto ai tumori primitivi ginecologici.
Quali tipi di trattamento sono indicati?
Purtroppo i dati di letteratura su questo argomento sono scarsi. Tendenzialmente, se le dimensioni e la fisionomia del tumore lo permettono, la chirurgia è la tecnica più utilizzata, sia da sola che associata a chemioterapia o a chemioterapia e brachiterapia. È possibile anche proporre una seconda irradiazione.
Gli effetti collaterali dei trattamenti sono abbastanza simili agli effetti di tali trattamenti nei tumori secondari come secchezza e atrofia vaginale nel caso della radioterapia, stanchezza e nausea nel caso della chemioterapia.
La sopravvivenza purtroppo è più bassa rispetto ai tumori ginecologici primitivi, passando circa dai 7 ai 57 mesi. Questo perché si tratta di malattie aggressive e in cui spesso la diagnosi viene fatta tardivamente a causa della presentazione talvolta atipica (ad esempio spesso non vi è sanguinamento). Inoltre i tessuti che hanno ricevuto precedentemente delle radiazioni, essendo più “sclerotizzati”, sono meno responsivi alle nuove radioterapie e chemioterapie, motivo per cui si cerca di operarli il più possibile. Ovviamente il gesto chirurgico in questi casi non è semplice, e le complicanze post-operatorie sono più frequenti. Va comunque ricordato che gli studi che riportano dati sulla sopravvivenza sono pochissimi, per cui è difficile trarre delle conclusioni precise.
Come si può ridurre il rischio di sviluppare questa malattia e migliorarne il trattamento?
Il rischio di sviluppare secondi tumori ginecologici può essere ridotto risparmiando la maggiore quantità possibile di tessuto sano dalle radiazioni secondarie della prima radioterapia. Inoltre è necessario che queste pazienti vengano trattate in Centri di Eccellenza, dove la valutazione diagnostica e la terapia possano essere gestite da un gruppo multidisciplinare di esperti.
Giulia Parpinel e Maria Elena Laudani
Università degli Studi di Torino
Scuola di Specializzazione in Ginecologia e Ostetricia
Dipartimento di Scienze Chirurgiche
Per saperne di più
Barcellini A, Dominoni M, Gardella B, et al. Gynecological radio-induced secondary malignancy after a gynecological primary tumor: a rare entity and a challenge for oncologists International Journal of Gynecologic Cancer 2022;32:1321-1326.