Nello scorso mese di gennaio sulla rivista Americana Clinical Cancers Research sono stati pubblicati i risultati di una ricerca traslazionale ottenuta da campioni collezionati all’interno di un studio clinico randomizzato di fase III (IMagyn050). In questo studio si valutava l’efficacia dell’aggiunta in prima linea di un inibitore dei checkpoint immunologici (Immune Checkpoint Inhibitors – ICI), l’atezolizumab, alla terapia convenzionale basata su chemioterapia classica e bevacizumab. Essendo uno studio a due bracci in doppio cieco, l’efficacia dell’aggiunta dell’atezolizumab veniva valutata rispetto a un braccio controllo in cui le pazienti ricevevano solamente la chemioterapia e il bevacizumab.

Purtroppo i risultati dello studio sono stati negativi in quanto non è stata osservata alcuna differenza in termini di sopravvivenza tra le pazienti trattate con atezolizumab rispetto a quelle trattate con la sola chemioterapia classica. Il dato è in linea con quanto visto sino ad oggi in diversi studi che i tumori ovarici, per quanto siano ricchi di cellule immunitarie e abbiano in teoria tutte le caratteristiche per ricevere questo nuovo approccio terapeutico, nella pratica clinica non rispondono alla terapia con inibitori dei checkpoint immunologici.

Cosa dice lo studio

Anche lo studio traslazionale ha dei risultati negativi. Sono stati studiati dei biomarcatori come lo stato del deficit della ricombinazione omologa (Homologous Recombination Deficit – HRD) o la presenza di mutazioni nei geni BRCA1/2 per vedere se questi consentissero di stratificare meglio le pazienti e di identificare dei sottogruppi che rispondevano meglio alla terapia con inibitori dei checkpoint immunologici. Dalla letteratura si sa che i tumori con difetti nei sistemi di ricombinazione omologa, sia per via del deficit della ricombinazione omologa o per la presenza di mutazioni nei geni BRCA1/2, sono più popolati da cellule del sistema immunitario. Questo li renderebbe potenzialmente più responsivi alla terapia con inibitori dei checkpoint immunologici. Si ricorda che la terapia con inibitori dei checkpoint immunologici non mira a uccidere direttamente le cellule tumorali, ma a “risvegliare” il sistema immunitario che è stato reso dormiente a livello molecolare dalle cellule tumorali stesse. I risultati ottenuti non hanno dimostrato differenze di risposta agli inibitori dei checkpoint immunologici sulla base della presenza o meno di mutazioni nei geni BRCA1/2 o allo stato di funzionalità dei sistemi di riparazione omologa del DNA.

Quali prospettive future

I dati negativi, per quanto sconfortanti, sono sempre importanti nella ricerca scientifica perché indirizzano meglio gli sforzi futuri ed è molto importante che siano sempre pubblicati. Servono per capire dove indirizzare la ricerca scientifica al fine di “risvegliare” il sistema immunitario. Di certo molti dei meccanismi molecolari che le cellule tumorali hanno acquisito nel loro lungo percorso di trasformazione neoplastica hanno istruito in modo negativo il sistema immunitario, in modo che questo non svolgesse più il suo importante compito di sorveglianza. Fin dal suo sviluppo nelle fimbrie, dove il tumore cresce inizialmente in situ, le principali alterazioni strutturali che la cellula neoplastica assume hanno come diretta conseguenza la primitiva inattivazione della sorveglianza immunitaria. Il tumore ovarico nasce e si sviluppa perché ha questa capacità, che poi perfeziona nel corso degli anni. Una plausibile spiegazione a questi dati negativi è che se si trattano tumori in fase avanzata, come detto anche nelle precedenti newsletters, è verosimile che questi abbiano acquisito molteplici meccanismi di resistenza che difficilmente possono essere superati o sconfitti. La capacità di migliorare la diagnosi precoce, non solo anticipando la comparsa della malattia ma anche solo riuscendo a diagnosticarla nelle fasi inziali, potrebbe rendere molti degli attuali armamentari terapeutici più efficaci nell’eradicare la malattia. Quindi si tratta non solo di intervenire con strumenti nuovi che colpiscono la cellula tumorale e il suo ambiente, ma anche di intervenire il prima possibile quando lo scudo molecolare di protezione non è ancora stato completato. La ricerca ha questo compito nei prossimi anni.

 

Sergio Marchini

Head, Molecular Pharmacology Lab

IRCCS, Humanitas Research Hospital, Milano

 

Per saperne di più:

Landen CN, Molinero L, Hamidi H, et al. Influence of Genomic Landscape on Cancer Immunotherapy for Newly Diagnosed Ovarian Cancer: Biomarker Analyses from the IMagyn050 Randomized Clinical Trial [published online ahead of print, 2023 Jan 3]. Clin Cancer Res. 2023;CCR-22-2032. doi:10.1158/1078-0432.CCR-22-2032.

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