Per iniziare a conoscere
Per alcune malattie, quali la fibrosi cistica, l’anemia falciforme o l’osteogenesi imperfetta, mutazioni in un singolo gene caratterizzano il decorso clinico della patologia. Per i tumori solidi, in particolare per i tumori epiteliali dell’ovaio che rappresentano più del 90% dei tumori dell’ovaio, più geni sono stati visti essere alterati contemporaneamente. È quindi necessario studiare non più l‘effetto del singolo gene ma le collezioni di geni che sono associate alla malattia e le relazioni che si instaurano fra esse – chiamate con il termine inglese “pathways”. Per studiare malattie così complesse è necessario disporre di strumenti molecolari, informatici e matematici che permettano di analizzare la complessità delle interazioni tra geni, non solo su modelli cellulari in laboratorio ma direttamente su campioni di tessuto – biopsie – prelevati durante gli interventi chirurgici.
Nel tempo così la genetica si è trasformata in genomica, ossia in una branca della medicina che studia le relazioni tra geni. La genomica cerca di identificare, per ogni malattia, la sua specifica impronta molecolare – “firma molecolare” o dall’inglese “signature” – ossia quella collezione di geni e loro regolatori che se alterati ne contraddistinguono le caratteristiche diagnostiche, prognostiche e possono rappresentare una base per diversificare le terapie farmacologiche.
Un po’ di storia
La rivoluzione è iniziata negli anni ’70-’80 dalla biologia cellulare e molecolare. L’avvento di nuove tecnologie, la nascita della genomica agli inizi del 21° secolo e più recentemente l’introduzione delle tecniche di sequenziamento massivo del DNA e di “imaging molecolare”, hanno operato una rivoluzione copernicana nel mondo della ricerca scientifica, sia essa puramente accademica, o di base, che traslazionale. Il termine “ricerca traslazionale” riflette l’inclinazione della ricerca biomedica a trasferire le conoscenze acquisite in laboratorio nella pratica clinica per migliorare la diagnosi e la cura dei pazienti. Lo sviluppo, l’utilizzo e la condivisione di nuove piattaforme tecnologie e metodologie di ricerca ha gettato un ponte tra questi due mondi facilitandone la comunicazione e accelerando il flusso di informazione in maniera bidirezionale. Possiamo definire oggi la ricerca traslazionale in maniera più completa come un processo di conoscenza scientifica in cui si realizzano sinergie tra ricerca di base e ricerca clinica. Le conoscenze ottenute tramite la ricerca di base possono essere convogliate alla applicazione clinica, analogamente le osservazioni cliniche possono essere un importante stimolo alla ricerca. Il risultato è che la ricerca transazionale si sta trasformando da un processo unidirezionale, dal laboratorio al letto del paziente – dall’inglese: “from bench-side to bedside” – ad un circolo virtuoso di informazioni che vanno dal “bench-side to bedside and back”.
Questo tipo di approccio può chiarire meglio i complessi meccanismi che sono alterati nelle diverse condizioni patologiche e quindi aiutare a delineare diverse strategie diagnostiche e terapeutiche. Ad esempio, grazie all’utilizzo delle nanotecnologie e delle bio-banche è oggi possibile valutare su collezioni significative di pazienti studiando direttamente le interazioni tra i vari pathways molecolari e i parametri clinici per poi identificare i modelli pre-clinici (sia in vitro che in vivo) che meglio rispecchiano quella patologia.
Questa rivoluzione sta delineando un nuovo modello organizzativo della ricerca scientifica chiamato con il termine anglosassone di convergence, in cui lo sviluppo della conoscenza scientifica si articola attraverso l’integrazione delle conoscenze matematiche, biologiche, fisiche e mediche.
I tumori epiteliali dell’ovaio
I tumori epiteliali dell’ovaio sono una patologia complessa il cui decorso clinico è condizionato da diversi fattori. Certamente lo stadio clinico, che rappresenta la diffusione della malattia, è molto importante nel determinare la prognosi. Nelle fasi precoci è possibile eliminare la malattia attraverso la chirurgia, mentre nelle fasi avanzate la chirurgia si accompagna a trattamenti chemioterapici la cui efficacia è variabile nelle diverse pazienti. Oggi è possibile definire se una paziente è “sensibile” o “resistente” alla terapia solo a posteriori, misurando l’intervallo di tempo che intercorre tra la fine dei cicli di chemioterapia e l’eventuale ricomparsa di malattia. Per cercare di capire prima quale sarà il decorso clinico di una paziente, e quindi programmare per lei e con lei le migliori terapie, appare fondamentale ampliare le conoscenze sulla natura e le caratteristiche molecolari dei tumori epiteliali dell’ovaio. Questo obbiettivo è stato reso possibile solo negli ultimi anni con l’avvento delle discipline “-omiche” e con lo sviluppo delle “Biobanche”. Nel linguaggio scientifico i tumori epiteliali dell’ovaio sono comunemente noti con l’acronimo EOC, dall’inglese Epithelial Ovarian Cancer.
L’identificazione delle impronte molecolari
La nascita delle tecnologie ad alta densità di informazione – in inglese high-throughput – ha permesso di studiare le diverse funzioni biologiche e la complessità dei meccanismi di regolazione cellulare, misurando migliaia di fattori – geni, microRNA, proteine – contemporaneamente. L’ottimizzazione di protocolli per la miniaturizzazione delle analisi, ha poi permesso di applicare queste tecnologie a quantità clinicamente accessibili di materiale biologico, utilizzando casistiche di pazienti con una numerosità sufficiente per successive analisi statistiche di correlazione con parametri clinici. Campioni ottenuti da un semplice prelievo di sangue o da biopsie ottenute durante esami clinici di routine o interventi chirurgi possono essere analizzati a livello genomico per valutare la presenza di
- polimorfismi genici,
- aree di perdita (definita in termini tecnici delezione) o di acquisto (definita in termini tecnici amplificazione) di intere regioni di materiale genico
La messa a punto di tecniche di sequenziamento parallelo permette di sequenziare
- sia l’intero genoma (in inglese whole genome sequencing)
- sia la sola regione codificante (in inglese exome sequencing)
La totalità dei trascritti codificanti (in termini tecnici trascrittoma) e non codificanti a funzione regolatoria (in termini tecnici microRNA e long non coding RNA, alias LincRNA) possono oggi essere analizzati e integrati con informazioni clinico-patologiche per identificare quei pathways molecolari che, se alterati, contraddistinguono lo stato patologico e sono una “impronta digitale” (in inglese fingerprints o signatures) unica della condizione patologica stessa. Questa enorme esplosione di possibilità è resa possibile dal contemporaneo sviluppo delle scienze computazionali, che hanno validato e ottimizzato in questi ultimi anni nuovi algoritmi di analisi.
La firma molecolare: sulle colonne sono riportati le biopsie di diversi pazienti e sulle righe la collezione dei geni diversamente espressi nella condizione patologica rispetto al tessuto sano. Il colore rosso indica un gene la cui espressione è aumentata rispetto al tessuto sano, mentre il colore verde indica un gene la cui espressione è ridotta rispetto al tessuto sano. In quest’ottica si inseriscono i recenti progressi sul tumore epiteliale dell’ovaio. Solo negli ultimi cinque anni grazie alle informazioni “-omiche” ottenute su larghe coorti di campioni è stato possibile comprendere più nel dettaglio le differenze molecolari tra i diversi stadi, o tra tumori con diverse caratteristiche morfologiche. Il primo importantissimo risultato di queste conoscenze è che il termine “tumori epiteliali dell’ovaio” non identifica più in modo univoco questa malattia. Parametri clinici come lo stadio, il grado e la morfologia delle cellule tumorali, sottolineano l’esistenza di caratteristiche biologiche diverse per il tumori epiteliali dell’ovaio, che solo oggi stiamo scoprendo. Proprio perché malattie diverse, non possiamo più pensare in futuro ad una terapia comune per tutte le pazienti affette da tumori epiteliali dell’ovaio, ma la comprensione del decorso clinico di una paziente e la sua sopravvivenza, passano attraverso una maggior comprensione e integrazione delle variabili molecolari, biologiche e anatomiche prima elencate.
Genomica dei tumori: stato dell’arte
I recenti studi riportati in letteratura scientifica e i dati presentati a durante il congresso della Associazione Americana per la Ricerca sul Cancro del 2013 permettono di fare il punto sulle attuali conoscenze e sulle nuove terapie per il tumori epiteliali dell’ovaio, definendo anche i nuovi confini entro cui si muoverà la ricerca e la cura nei prossimi anni:
- per quanto si continui a parlare di tumori epiteliali dell’ovaio, questo termine è fuorviante in quanto la definizione di tumori epiteliali dell’ovaio si riferisce ad una serie di malattie che originano in sedi diverse dell’apparato genito-urinario femminile, ma che condividono la stessa sede di crescita e di sviluppo, l’ovaio appunto. Per questo motivo non è sufficiente parlare di tumore epiteliale dell’ovaio, ma deve essere specificato di quale stadio (I-IV) e di quale istotipo si tratta (sieroso mucinoso, a cellule chiare o endometroide, per ricordare i principali). Ognuna di queste malattie ha una sua storia evolutiva e quindi caratteristiche biologiche che ne condizionano la risposta alla terapia. Un dato recentemente pubblicato su una casistica di 219 biopsie di tumori epiteliali dell’ovaio, stadio I, collezionata da tre diversi centri italiani, ha evidenziato come per il tipo mucinoso sia identificabile una “firma” molecolare che ricorda quella vista per i tumori del colon retto
- lo stadio è un fattore prognostico importante, ma tra gli stadi non esiste una relazione temporale; lo stadio I è una malattia con una storia e decorso clinico completamente diverso dallo stadio III e IV e non può essere semplicemente visto come una fase precoce nella evoluzione clinica della malattia
- queste differenze vanno necessariamente prese in esame per i prossimi studi clinici se ci si vuole spostare da una terapia con farmaci ad azione generica, che prende in esame prevalentemente le caratteristiche tissutali del tumore (ovaio, appunto), verso una terapia più mirata e focalizzata sulle differenze biologiche. Queste lesioni purtroppo non sono state ancora ben caratterizzate in quanto solo da pochi anni si è incominciato a studiare in modo sistematico ogni singolo gruppo di sottoclassi istologiche.
Le principali informazioni molecolari oggi disponibili riguardano i tumori sierosi, stadio III, noti come sierosi ad alto grado, che rappresentano più del 60% dei tumori dell’ovaio diagnosticati annualmente e quelli con prognosi peggiore. Proprio su questa forma si sono concentrati gli studi di gran parte dei ricercatori negli ultimi otto anni. Un consorzio di ricerca americano, identificato con l’acronimo di “TGCAtlas”, sta realizzando una enciclopedia, cioè una collezione di informazioni molecolari di natura “-omica” su oltre 500 casi di tumore sieroso ad alto grado, reclutati in diversi centri clinici. I dati emersi rappresentano per tutta la comunità scientifica uno dei parametri di riferimento per tutti gli studi molecolari sui tumori sierosi ad alto grado. La mole dei dati ottenuti è tale che solo in parte sono stati compresi e molte informazioni devono ancora essere completamente decifrate. Il confronto e lo studio da parte di esperti mondiali di questa importante enciclopedia ha evidenziato le seguenti informazioni:
- la biologia dei “sierosi ad altro grado” non è uniforme in quanto le “impronte” molecolari permettono di identificare almeno quattro tipi diversi di patologie che hanno una diversa prognosi e sopravvivenza
- le pazienti in cui la firma molecolare ricorda quella di un tessuto embrionale hanno una prognosi peggiore rispetto a quelle in cui la firma molecolare ricorda quella di un tessuto epiteliale
- la popolazione tumorale è molto eterogenea non solo tra pazienti, ma anche tra aree diverse dello stesso tumore. Tuttavia è possibile risalire ad alcuni eventi molecolari iniziali che portano ad una fragilità del genoma
- proprio perché instabili, i tumori sono anche più sensibili alla terapia citotossica e questo potrebbe spiegare l’iniziale risposta positiva di quelle pazienti in cui la famiglia dei geni BRCA1/2 non è funzionante
- molti punti devono essere ancora chiariti in merito al fenomeno della resistenza alla terapia. Certamente i meccanismi molecolari responsabili della iniziale resistenza alla terapia sono diversi da quelli della resistenza acquisita, che subentra nelle pazienti dopo una prima risposta positiva. Risulta ancora poco chiaro se la resistenza subentra perché la terapia non è in grado di eradicare/distruggere tutti i cloni presenti nel tumore (eterogenicità e presenza di cellule tumorali staminali) oppure perché, a causa della instabilità, le cellule sono in grado di acquisire nuove mutazioni.
I dati “-omici”, un vaso di pandora o nuove opportunità?
L’ampia e rapida diffusione di tecnologie “-omiche” richiede una profonda riflessione sull’utilizzo che si fa oggi di queste informazioni, soprattutto per quelle che emergono dal sequenziamento del DNA.
- Questi studi richiedono sempre più un lavoro di squadra in cui si integrano le professionalità delle diverse persone coinvolte, tra le quali il medico, il biologo, il bio-informatico, lo statistico, l’ingegnere elettronico, il genetista, etc.
- L’ampia diffusione delle tecniche di sequenziamento dell’intero genoma umano sta rendendo realizzabile, nei tempi e nei costi, il sogno di avere il proprio genoma su DVD! Il problema è l’uso che se ne fa di queste informazioni. Ad esempio restano aperte importanti domande: come correlare queste informazioni genetiche del singolo con aspetti quali condizione patologica, predisposizione allo sviluppo, rischio di ricaduta, ereditarietà della popolazione in esame? Come questo può portare al miglioramento della salute del singolo senza creare discriminazioni o falsi allarmismi?
- Per sviluppare le potenzialità delle tecnologiche descritte occorre analizzare grandi quantità di campioni biologici di pazienti attraverso studi comparativi condotti su collezioni di campioni che consentano di individuare le alterazioni molecolari e genetiche alla base di una data patologia e predisporre sia i test per le diagnosi precoci, sia i farmaci in grado di interferire con le alterazioni molecolari identificate. Per questo è necessario un sempre maggiore e razionale sviluppo delle “Biobanche”. Non a caso, nel 2009, la rivista “Time” ha definito la nascita e la diffusione delle biobanche come una delle dieci idee in grado di cambiare il mondo.
Da sapere
Sicuramente nei prossimi anni la diagnosi e la terapia di un paziente saranno sempre più influenzate dalle informazioni “-omiche”. Ma la velocità con cui queste informazioni sono ottenute e divulgate è largamente superiore alla nostra capacità di comprensione. La conoscenza dei meccanismi molecolari e della biologia delle cellule tumorali è un processo molto più lento della generazione di dati sulla biologia della cellula tumorale. Il rischio è quello di focalizzarci sul particolare senza guardare il problema nel suo complesso.
Ad esempio, le informazioni che riceviamo attraverso i mass-media ci vogliono indurre a credere che nei geni possiamo trovare la spiegazione di ogni nostra azione o comportamento e che nel DNA è scritta la cura per ogni patologia: bisogna soltanto saperla trovare e leggere! Per quanto in alcuni casi questo possa essere vero, non è assolutamente generalizzabile. Ogni persona, con le proprie emozioni e i propri pensieri non è semplicemente la somma dei propri geni; cosi la malattia non è la semplice somma algebrica di una o più mutazioni in una serie precisa di geni.
Tanti fattori – ambientali, alimentari, psicologici, etc – influiscono sul decorso di una malattia dalla sua insorgenza alla sua risposta alla terapia e non possono essere spiegati leggendo una semplice sequenza di basi.
A cura di
Sergio Marchini
Head, Molecular Pharmacology Lab
IRCCS, Humanitas Research Hospital, Milano
Aggiornamento Aprile 2023