I tumori della cervice uterina o del collo dell’utero

Che cosa sono i tumori della cervice uterina

tumori della cervice uterina, o cervico-carcinomi, interessano la parte inferiore dell’utero, il collo, che sporge all’interno della vagina. Il collo dell’utero, o cervice, è una regione anatomica del tutto particolare: il suo rivestimento, o epitelio, presenta infatti caratteristiche che lo espongono al rischio di malattie specifiche spesso sessualmente trasmesse, tra cui quelle causate dall’infezione da papillomavirus.

Il papillomavirus umano e il tumore della cervice uterina

Il papillomavirus umano, detto HPV, è in realtà una grande famiglia di virus, che possono causare malattie come le verruche, i condilomi genitali o, in alcuni distretti, anche dei tumori. I vari tipi di HPV interessano infatti diverse regioni del corpo, dalla pelle ai genitali all’ano, provocando, a seconda del tipo, delle lesioni benigne o, raramente, maligne. Il virus HPV si trasmette per contatto, sia con altre persone sia, raramente, attraverso oggetti contaminati. Nel caso dei papillomavirus che colpiscono l’apparato riproduttivo femminile – ovvero la vulva, la vagina e l’utero – questo contatto avviene essenzialmente tramite il rapporto sessuale. Chiunque abbia avuto rapporti sessuali soprattutto se avvengono senza protezione di barriera (uso del condom, preservativo, profilattico) è esposto al rischio, e si stima che entro i 30 anni più della metà delle persone entri in contatto con il virus! Il papillomavirus è quindi estremamente diffuso, soprattutto nella popolazione più giovane e in chi ha o ha avuto rapporti sessuali con un maggior numero di persone diverse. Fortunatamente, l’infezione nella grande maggioranza di casi si risolve senza alcun problema: le nostre difese immunitarie sono infatti in grado quasi sempre di neutralizzare il virus, eliminandolo completamente o controllandolo in modo che non possa riprodursi. Di conseguenza, solo in un piccolo numero di casi il virus HPV può portare alla comparsa di lesioni: è più a rischio ad esempio chi ha le difese immunitarie indebolite per particolari malattie o, più comunemente, i forti fumatori. Inoltre, la maggior parte dei tipi di HPV, anche quando riescono a superare le nostre difese, danno lesioni benigne come le verruche o i condilomi. Soltanto alcuni tipi di cosiddetti HPV ad alto rischio oncogenico sono in grado di causare tumori. Gli HPV ad alto rischio, quando non sono adeguatamente controllati dal nostro sistema immunitario, possono quindi provocare la comparsa dapprima di lesioni con cellule atipiche, ovvero con delle anomalie, di per sé non pericolose, ma che a loro volta possono evolvere e trasformarsi in veri e propri tumori maligni: spesso pertanto ci si riferisce a queste situazioni come lesioni pre-tumorali, mentre il tumore maligno (detto anche carcinoma, o cancro) è una lesione invasiva, in cui le cellule anomale invadono e infiltrano i tessuti circostanti. Fortunatamente, l’HPV ad alto rischio impiega alcuni anni a dare lesioni pre-tumorali, le quali possono poi trasformarsi in tumori maligni dopo un altro lungo periodo: dal momento dell’infezione a quello della diagnosi di tumore possono quindi trascorrere anni, in cui è possibile intervenire efficacemente con le misure di prevenzione.

Come prevenire il tumore del collo dell’utero

Data la particolare origine del tumore invasivo, che dipende da un lungo processo che origina dall’infezione da HPV attraverso una tappa intermedia di lesione pre-tumorale, esistono due modi di fare prevenzione: sia cercando di impedire l’infezione da HPV, sia mediante il riconoscimento e la cura delle lesioni pre-tumorali prima che si trasformino in tumore invasivo.

Il primo modo è di prevenire il cancro invasivo evitando i fattori di rischio, ovvero l’infezione da parte di HPV ad alto rischio. L’infezione da HPV non sempre determina sintomi (es. la comparsa di lesioni come condilomi o verruche), pertanto è spesso difficile capire se un individuo è affetto dal virus. L’uso del profilattico può in parte ridurre il rischio d’infezione, anche se non lo annulla visto che le aree genitali circostanti possono comunque essere infettate. Il profilattico è utile tuttavia anche per prevenire l’infezione da HIV e altre infezioni sessualmente trasmissibili.

Attualmente, l’arma principale per prevenire l’infezione è il vaccino per HPV. Questo vaccino protegge verso alcuni dei particolari ceppi di HPV ad alto rischio coinvolti nello sviluppo del tumore, ma può anche prevenire la formazione di condilomi. La vaccinazione è oggi offerta gratuitamente agli adolescenti, ed è efficace nel ridurre il rischio di infezione da ceppi ad alto rischio e quindi, in prospettiva, di tumore; è quindi raccomandato soprattutto per le adolescenti prima che abbiano avuto rapporti sessuali, ma in alcuni casi può anche essere eseguito più avanti con l’età ed è raccomandato anche nel caso in cui la paziente abbia già manifestato lesioni pre-tumorali, allo scopo di prevenirne di nuove. È importante sapere che il vaccino non protegge da tutti i tipi di HPV in grado di determinare un tumore, ma solo dai tipi più frequentemente coinvolti; la ricerca sta consentendo di avere vaccini sempre più efficaci, ma una parte dei virus rimane comunque al di fuori di questo meccanismo di prevenzione. Risulta quindi fondamentale mantenere anche un programma di prevenzione secondaria (screening) che riesca a intercettare in tempo le lesioni pre-tumorali prima che diventino invasive. La seconda procedura si basa, appunto, sullo screening, ovvero su un programma di esami rivolti alla popolazione sana (ovvero senza sintomi), con lo scopo di individuare le lesioni pretumorali prima che si trasformino in carcinoma. Il trattamento di queste lesioni pretumorali è più facile, efficace e definitivo. Non per tutti i tumori si ha a disposizione uno strumento in grado di rilevare queste alterazioni pretumorali, ma questo strumento è fortunatamente disponibile per il tumore del collo dell’utero attraverso esami specifici. La maggior parte dei tumori del collo dell’utero può essere individuata precocemente o addirittura prima che siano tali, e grazie ai programmi di screening negli ultimi anni l’incidenza del tumore della cervice uterina e delle morti causate da quest’ultimo si sono ridotte notevolmente.

Come si può fare diagnosi precoce: Pap-Test

 

Il Pap-test è un esame che consente di individuare precocemente le lesioni da HPV in grado di trasformarsi in tumore invasivo: il trattamento di queste lesioni può quindi fermare anticipatamente la comparsa di un tumore maligno del collo dell’utero. Si tratta di un test non doloroso, che viene eseguito durante una normale visita ginecologica. Il Pap-test consiste nel prelevare delle cellule dalla porzione esterna del collo dell’utero, “grattandolo” con una piccola spatola, e dalla porzione più interna del canale della cervice, per mezzo di una sorta di “spazzolino”. Le cellule così prelevate vengono strisciate su un vetrino e quest’ultimo viene analizzato al microscopio dal citologo, cioè il medico specializzato nello studio della morfologia delle cellule. Recentemente è stato introdotto un nuovo tipo di Pap-test, il Pap-test in fase liquida, che sostituisce al vetrino un contenitore con del liquido, migliorando la lettura delle cellule al microscopio. Il Pap-test dovrebbe essere eseguito preferibilmente tra il 10° e il 20° giorno del ciclo mestruale, astenendosi dai rapporti nelle 24 ore precedenti ed evitando l’uso di lavande vaginali, in modo da facilitare la lettura del vetrino (evitando ad esempio che questo sia “sporcato” da sangue o perdite dovute a infezioni vaginali). Quando eseguire il Pap-test:

  • tutte le donne dovrebbero iniziare eseguire il Pap-test dopo pochi anni dal primo rapporto sessuale, e comunque dai 21 anni in poi;
  • le donne che presentano fattori di rischio come il fumo di sigaretta o l’immunodepressione (ovvero abbassamento delle difese immunitarie, ad esempio per infezione da HIV, terapie per il trapianto d’organo, trattamenti con cortisone ad alte dosi per lunghi periodi di tempo, malattie ematologiche, ecc.) dovrebbero eseguire il Pap-test ogni anno;
  • le donne che hanno tolto l’uteroper ragioni diverse dal tumore o dalle lesioni pretumorali possono non eseguire più il Pap-test se i precedenti sono sempre stati negativi;
  • il Pap-test viene normalmente offerto, in assenza di fattori di rischio, a 3 anni dal precedente; se al Pap-test viene associato il test per la ricerca del papilloma virus (HPV test, vedi dopo) ed entrambi risultano negativi, il Pap-test può essere ripetuto ad intervalli più lunghi (massimo 5 anni). Eseguire il Pap-test a intervalli più ravvicinati (es. una volta all’anno) in assenza i fattori di rischio aumenta solo leggermente l’efficacia di questo esame nell’individuare le lesioni pretumorali.

Le lesioni precancerose individuate dal Pap-test sono di due tipi:

  • LSIL, cioè lesioni intraepiteliali squamose a basso grado: queste lesioni sono comuni, spesso solo legate all’infezione da parte del virus; sono frequenti nelle giovani donne e non sono un tumore, nella maggior parte dei casi regrediscono senza trattamento. Raramente possono comunque progredire e trasformarsi in lesioni ad alto gradoe per questo è bene continuare a controllarle; controllare queste lesioni mediante esecuzione di Pap-test ravvicinati con un esame che prende il nome di colposcopia.
  • HSIL, cioè lesioni intraepiteliali squamose ad alto grado: anche queste lesioni non sono un tumorema hanno un rischio più alto di diventare tumore invasivo, e richiedono in genere un trattamento vero e proprio.

Molte donne confondono la visita ginecologica con il Pap-test. È auspicabile che la visita ginecologica sia eseguita annualmente come controllo di routine per la donna, durante il quale il medico osserva e controlla gli organi riproduttivi, tra cui il collo dell’utero. Alcune donne pensano di non aver più bisogno di una visita ginecologica dopo il parto: questo non è assolutamente vero! È da tenere presente che la sola visita ginecologica non è sufficiente ad individuare il tumore del collo dell’utero ad uno stadio iniziale, va fatto anche il Pap-test.

Il test HPV DNA

Questo test è uno strumento di recente introduzione che permette di individuare la presenza di una infezione da HPV. Rispetto al Pap-test, che serve a individuare delle lesioni, ovvero il risultato di un danno alle cellule da parte del virus, questo esame individua invece la presenza di un’infezione: questa è una differenza importante, poiché come già detto l’infezione da virus HPV spesso scompare senza lasciar traccia, e solo in alcuni casi, a distanza di tempo, provoca delle lesioni! Il test HPV DNA consente di individuare non solo la presenza del virus ma anche i diversi tipi, permette cioè di identificare la presenza dei ceppi pericolosi per il tumore, o HPV ad alto rischio (es. in particolare HPV-16 e HPV-18). L’HPV DNA test si esegue nello stesso modo del Pap-test e può essere usato in diverse situazioni:

  • nelle donne che hanno un Pap-test anormale, per capire se le anomalie riscontrate sono associate alla presenza di un’infezione da HPV o ad altre cause (es. a un’infiammazione generica);
  • nelle donne che sono state precedentemente trattate per una lesione pretumorale del collo dell’utero, per controllare che il virus non ricompaia;
  • come screening, in associazione al Pap-test: mentre negli anni passati alla popolazione sana veniva offerta, a scopo di prevenzione, la ripetizione periodica del Pap-test, oggi può essere utilizzato l’HPV test. L’esame viene eseguito prelevando un campione allo stesso modo del Pap-test, su cui il laboratorio ricerca la presenza del virus: le donne a cui viene trovata un’infezione da ceppi ad alto rischio fanno quindi l’esame citologico del Pap-test sullo stesso prelievo. Se il Pap-test non riscontra delle lesioni, la donna dovrà ripetere tutto dopo un anno, nel quale spesso il sistema immunitario elimina il virus. Se invece il Pap-test è positivo o se dopo un anno ci sono ancora segni di infezione, la donna dovrà fare ulteriori accertamenti. Andando a ricercare la tappa precedente a quella delle lesioni pretumorali, l’HPV test può essere eseguito come screening a intervalli più distanziati (5 anni) e ad età leggermente superiori, es. dai 30 anni, poiché nelle ragazze più giovani quasi sempre sarebbe positivo in assenza di lesioni (l’infezione è infatti molto diffusa ma, come già detto, di solito è anche “passeggera”).

Quali sono i sintomi

Le lesioni precancerose del collo dell’utero non causano dolore né altri sintomi. Non si deve aspettare di sentire dolore, né altri sintomi, prima di andare dal medico per eseguire una adeguata prevenzione del tumore del collo dell’utero. Se la malattia è andata incontro a una sua evoluzione e quindi si è verificata la trasformazione della lesione pretumorale in tumore invasivo, la donna può avere uno o più di questi sintomi:

  • perdite di sangue tra una mestruazione e l’altra (in termini tecnici, metrorragia o, quando ripetuto e di piccole quantità, spotting);
  • perdite di sangue dopo un rapporto sessuale;
  • mestruazionimolto più abbondanti e più lunghe;
  • perdite di sangue in menopausa;
  • dolore durante i rapporti (in termini tecnici, dispareunia);
  • perdite maleodoranti che persistono nel tempo.

In realtà anche una semplice infezione può essere responsabile di questi sintomi, pertanto se la donna si è sottoposta regolarmente al Pap-test questi segni possono essere espressione di altre condizioni di per sé benigne, comunque da discutere con il proprio medico ma con una scarsa probabilità di trovarsi in presenza di una malattia tumorale.

Come si arriva alla diagnosi

Se il Pap-test individua la presenza di cellule anomale caratteristiche di lesioni pretumorali o di veri e propri carcinomi, la donna deve essere sottoposta ad altri accertamenti:

  • colposcopia: il colposcopio è uno strumento simile ad un binocolo che permette di osservare a maggior ingrandimento il collo dell’utero, tramite illuminazione e lenti specifiche; durante questo esame il medico osserva il collo dell’uteroapplicando delle sostanze chimiche che agiscono come “coloranti” evidenziando possibili lesioni. Queste sostanze includono una soluzione di acido acetico (lo stesso contenuto nell’aceto), che può qualche volta provocare un lieve “pizzicorino” durante l’esame e la soluzione iodata di Lugol, di colore marrone scuro (è importante quindi ricordarsi che quest’ultima può macchiare i vestiti in modo permanente!). È un esame che viene generalmente eseguito in ambulatorio e che consente di vedere direttamente se sono presenti delle lesioni;
  • biopsia cervicale: il medico rimuove con una pinza un piccolo frammento della cervice che all’esame colposcopico era sembrato diverso rispetto alla restante porzione del collo dell’utero; questo piccolo frammento di tessutoviene poi analizzato con un esame istologico.

Come si classifica il tumore della cervice: la stadiazione

Il cancro della cervice si classifica secondo i seguenti stadi:

Stadio 0 (tumore in situ)

Nello stadio 0 il tumore è presente soltanto nello strato più superficiale di cellule della mucosa cervicale, e non ha invaso gli strati più profondi. Lo stadio 0 si definisce anche tumore in situ, e può corrispondere alle cosiddette lesioni pre-invasive riscontrate al Pap-test.

Stadio I

Nello stadio I il tumore è presente soltanto nella cervice uterina. Si suddivide convenzionalmente in stadio IA, quando il tumore è molto piccolo e visibile solo al microscopio all’esame istologico, e in stadio IB, quando la lesione è visibile a occhio nudo. In base alle dimensioni della lesione e alla profondità di invasione si distinguono poi i sotto-stadi 1 e 2 sia per IA che per IB.

Stadio II
Nello stadio II il tumore si è diffuso oltre la cervice uterina, invadendo altre regioni della pelvi, come la vagina o il tessuto connettivo circostante, rimanendo però limitato alle vicinanze dell’utero.

Stadio III
Nello stadio III il tumore ha invaso delle strutture della pelvi distanti dall’utero, come il terzo inferiore della vagina, la parete pelvica (ovvero le ossa del bacino), gli ureteri (ovvero i condotti che portano l’urina dai reni alla vescica, la cui infiltrazione può bloccare la funzionalità renale) o i linfonodi (ovvero le ghiandole linfatiche che si trovano lungo i grossi vasi sanguigni dell’addome inferiore).

Stadio IV
Nello stadio IV il tumore si è diffuso alla vescica o al retto (stadio IV A) oppure ha dato metastasi ad altri organi a distanza come il fegato o i polmoni (stadio IV B).

Tecniche di stadiazione

Una volta accertata la presenza del tumore mediante conferma istologica della biopsia, sarà necessario sottoporsi ad ulteriori accertamenti per verificare se le cellule neoplastiche si siano diffuse ad altri organi. Questo processo, che si definisce stadiazione, è importante per la scelta del trattamento più indicato per ogni caso. La stadiazione comprende una serie di analisi e procedure, tra cui le seguenti:

  • ecografia transvaginale: può essere utilizzata per una prima valutazione della lesione localmente a livello del collo dell’utero, e completata con una risonanza magnetica (vedi dopo);
  • TC (tomografia computerizzata, talvolta anche definita TACo tomografia assiale computerizzata): consiste in una serie d’immagini dettagliate delle strutture interne dell’organismo, ottenute tramite un computer collegato ad un’apparecchiatura per raggi X. In alcuni casi si usa un mezzo di contrasto (che sarà iniettato in vena oppure dato da bere) per migliorare la visualizzazione degli organi o dei tessuti; è importante segnalare al medico in questo caso la presenza di allergie o di problemi ai reni, poiché potrebbe essere necessario assumere farmaci per evitare problemi. La TC è importante soprattutto per escludere la presenza di lesioni a distanza (o metastasi);
  • RMN (risonanza magnetica nucleare): è una particolare tecnica radiologica che utilizza i campi magnetici. I dati vengono trasmessi a un computer che li elabora sotto forma di immagini dettagliate delle strutture interne del corpo; è usata soprattutto per studiare più accuratamente l’estensione del tumorea livello della pelvi;
  • PET(tomografia a emissione di positroni): consiste in un esame simile alla TC ma condotto con un mezzo di contrasto e un’apparecchiatura leggermente diverse, per una valutazione più accurata dello stato linfonodale.

È opportuno sottolineare che ecografia e RMN sono sufficienti a stadiare la maggior parte degli stadi più bassi operabili in quanto vedono molto bene l’estensione alla parete e ai parametri, mentre la TAC e la PET sono utilizzate in stadi più avanzati, laddove c’è un dubbio di estensione oltre l’utero (TAC) o a distanza (PET).

 

Cosa succede dopo la diagnosi: chirurgia, chemioterapia, radioterapia

Esistono tre opzioni terapeutiche standard che possono essere applicate singolarmente o in combinazione a seconda dello stadio della malattia.

Chirurgia

La chirurgia, che consiste nell’asportazione del tumore insieme con i tessuti circostanti, è una valida opzione terapeutica per il trattamento del cancro della cervice negli stadi iniziali. L’approccio chirurgico al tumore del collo dell’utero può essere più o meno aggressivo. A volte è sufficiente rimuovere l’utero (isterectomia) altre volte invece, soprattutto quando il tumore è di grosse dimensioni o si estende al di fuori dell’utero, il trattamento può comportare la rimozione dei tessuti circostanti. Il chirurgo potrà decidere di attuare, a seconda dello stadio della malattia diagnosticata, uno dei seguenti tipi d’intervento:

  • conizzazione: è l’intervento tramite il quale si asporta una porzione di tessutoa forma di cono dalla cervice; il campione sarà successivamente analizzato al microscopio per rilevare l’eventuale presenza di lesioni invasive. La conizzazione può essere attuata ai fini diagnostici, ad esempio nei casi in cui la colposcopia ha rilevato una lesione ad alto rischio di carcinoma senza che si riesca a vedere a occhio nudo, per asportare un campione molto più grande da analizzare; oppure può essere una vera e propria opzione terapeutica nelle pazienti con una lesione pretumorale o addirittura con piccolo tumore, soprattutto se queste desiderano figli. La conizzazione può essere effettuata mediante bisturi a lama fredda, ansa diatermica o laser; la metodica più comune sfrutta l’ansa diatermica, ovvero uno strumento collegato a corrente elettrica che genera elevate temperature per asportare il tessuto anomalo “bruciando” quello circostante, con una tecnica indicata come LEEP (acronimo dall’inglese Loop Electrosurgical Excision Procedure);
  • trachelectomia, ovvero asportazione per via vaginale del collo dell’uteroe della parte superiore della vagina, talvolta anche con i linfonodi circostanti; questo tipo di procedura potrebbe essere proposta a giovani donne con il tumore del collo dell’utero in stadio I, quindi piccolo, che non possono essere curate con solo la conizzazione ma che desiderano nello stesso tempo avere in futuro dei figli, in modo da conservare la maggior parte dell’utero;
  • isterectomiaed eventuale annessiectomia: è l’intervento che prevede l’asportazione dell’utero, sia il corpo che il collo o cervice; l’asportazione dell’utero in molti casi viene accompagnata dall’asportazione degli annessi (tube e ovaie), procedura chiamata annessiectomia bilaterale. L’isterectomia radicale è invece l’intervento tramite il quale il chirurgo rimuove l’utero, parte della vagina, è un intervento che si differenzia dalla normale isterectomia poiché richiede una rimozione molto più ampia di tessuto, che può coinvolgere anche strutture come le vie urinarie o i nervi che controllano il funzionamento del retto e della vescica; questo può portare a complicanze come linfedema (ovvero un gonfiore persistente delle gambe dovuto alla rimozione dei linfonodi e al ristagno della linfa), difficoltà a muovere gli arti inferiori, disturbi nel normale controllo della vescica o della defecazione. È importante specificare che l’estensione ai tessuti circostanti, ovvero la radicalità dell’isterectomia, varia a seconda dell’estensione della malattia. L’annessiectomia è quasi sempre raccomandata salvo casi particolari. Per la cervice uterina, in ragione delle evidenze scientifiche, si sceglie preferibilmente la via laparotomica, ovvero tagliando la cute, e molto raramente la via laparoscopica o mini-invasiva.
  • eviscerazione pelvica: consiste nell’asportazione della porzione inferiore del colon, del rettoe/o della vescica in monoblocco con la cervice, la vagina, le ovaie e i linfonodi Il chirurgo praticherà aperture artificiali (stomie) per consentire la raccolta delle urine e l’evacuazione delle feci in appositi sacchetti. Dopo l’intervento potrebbe essere necessario procedere a chirurgia plastica per la ricostruzione della vagina. Tale intervento viene usato molto raramente, per casi molto avanzati in cui la malattia non è altrimenti trattabile.
  • linfadenectomia o linfonodo sentinella: si tratta di una tecnica che permette di avere un’informazione sullo stato dei linfonodi evitando tuttavia l’asportazione di tutti i linfonodi pelvici. Si esegue iniettando un tracciante (verde Indocianina) a livello della cervice prima di iniziare l’intervento che rende identificabili i primi linfonodi pelvici che drenano la cervice da entrambi i lati. In caso il tracciante non abbia identificato i sentinella, oppure se i linfonodi risultano positivi in fase di stagin pre-operatorio, è indicata la linfadenectomia, che consiste nell’asportazione delle ghiandole linfatiche che decorrono lungo i vasi arteriosi e venosi della parte inferiore dell’addomee che possono essere colonizzate dal tumore soprattutto in fase avanzata di malattia.

Radioterapia

La radioterapia consiste nell’applicazione di radiazioni ad alta intensità per distruggere le cellule neoplastiche. I raggi possono essere generati attraverso due modalità:

  • radioterapia esterna, in cui le radiazioni vengono erogate da una macchina esterna all’organismo e orientate a “fasci” sulla zona interessata dal tumore;
  • brachiterapia, ovvero radioterapia interna o intracavitaria, in cui le radiazioni vengono erogate internamente a partire da sostanze radioattive impiantate tramite aghi, tubicini o cateteri all’interno o a breve distanza dal tumore, ad esempio con uno strumento introdotto dentro la vagina.

La modalità di attuazione della radioterapia dipende dal tipo e dallo stadio del tumore da trattare. Può essere eseguita come trattamento esclusivo, ovvero senza operare la paziente ma limitandosi ad attaccare il tumore con le radiazioni fino a farlo “rimpicciolire” eliminando le cellule maligne, oppure come trattamento adiuvante, ovvero dopo la chirurgia per eliminare le cellule che possono essere rimaste nella pelvi dopo la rimozione del tumore.

La radioterapia ha degli effetti collaterali, ma molti di questi tendono a regredire dopo un periodo più o meno lungo. La pelle potrebbe arrossarsi e bruciare (come una scottatura); di solito però ritorna normale dopo 6-12 mesi. Se la radioterapia viene effettuata sulla vagina l’effetto collaterale più frequente è la secchezza vaginale che determina dolore durante i rapporti sessuali; altri effetti collaterali possono più raramente riguardare la vescica (es. frequente bruciore o stimolo urgente a urinare o presenza di sangue nelle urine, condizione definita come “cistite attinica”, ovvero causata dalle radiazioni) o il retto (es. sangue nelle feci, dolore o difficoltà alla defecazione) quando la terapia deve essere effettuata su un’area molto estesa.

Chemioterapia

La chemioterapia distrugge le cellule tumorali o ne blocca la moltiplicazione, attraverso la somministrazione di farmaci che possono essere assunti per bocca, in forma di compresse, oppure iniettati per via endovenosa. La chemioterapia si definisce trattamento sistemico perché il farmaco entra nella circolazione sanguigna, si diffonde nell’organismo e, in questo modo, può raggiungere e distruggere le cellule neoplastiche che si sono diffuse a distanza. La chemioterapia ha un ruolo molto spesso ancillare per il tumore della cervice uterina. Spesso viene utilizzata concomitantemente alla radioterapia con effetto “radiosensibilizzante”. Viene usata in maniera esclusiva nei casi non operabili e non radiotrattabili oppure per trattare le eventuali recidive di tumore. La chemioterapia può dare effetti collaterali: il tipo e la durata della reazione avversa dipende dal farmaco somministrato, dalla quantità e dalla durata del trattamento. La maggior parte degli effetti collaterali regredisce con la sospensione del trattamento. I più frequenti sono:

  • nausea e vomito, perdita dell’appetito
  • perdita temporanea dei capelli
  • bocca che brucia (stomatite)
  • alterazione degli esami del sangue, es. anemia (con stanchezza) e maggior rischio di infezioni o sanguinamenti

Il trattamento in base allo stadio

A seconda del tipo e dello stadio del tumore vengono proposte cure differenti. Di seguito è proposto uno schema a seconda dello stadio del tumore che riassume tutte le possibili terapie.

Stadio 0 (tumore in situ)

Le opzioni terapeutiche saranno le seguenti:

  • isterectomia totale e annessiectomia bilaterale per le pazienti che non vogliono più avere figli;

 

Stadi I-II

Le opzioni terapeutiche possono essere:

  • chirurgia, con conizzazioneisterectomia totale negli stadi IA, ed eventualmente con isterectomia radicale negli stadi più avanzati, accompagnata spesso da annessiectomia bilaterale e biopsia del linfonodo sentinella o dissezione linfonodale; l’intervento chirurgico può essere eseguito in particolare per lesioni non troppo grandi, fino a circa 4 cm di diametro;
  • radioterapia associata alla chemioterapia, che viene impiegata nei tumori più grandi (oltre lo stadioIB1) ma può anche essere offerta per carcinomi più piccoli in alternativa alla chirurgia, in base alle preferenze della paziente e alle possibilità di essere operata.

 

Stadio III e IVA

L’opzione terapeutica per i tumori della cervice di stadio III e IVA consisterà in un trattamento misto di radioterapia interna ed esterna più chemioterapia.

Stadio IVB

Le opzioni terapeutiche saranno:

  • radioterapia palliativa, ovvero trattamento per alleviare i sintomi della malattia e migliorare la qualità della vita (es. per controllare il sanguinamento del tumore);
  • chemioterapia.

Il follow-up: che cos’è

Dopo il trattamento per il tumore del collo dell’utero è importante sottoporsi a controlli regolari; l’insieme dei controlli viene indicato come follow-up. Durante queste visite di controllo il dottore si informerà sui sintomi, farà la visita ginecologica e potrà prescrivere alcuni esami come ad esempio ecografie, TC, RMN o Pap-test sulla base dei segni e dei disturbi riferiti dalla paziente. Gli obiettivi del follow-up sono diversi:

  • individuare precocemente segni e sintomi di una recidiva, ovvero il ritorno del tumore;
  • riscontrare ed eventualmente trattare gli effetti collateralidel trattamento, ad esempio della chirurgia o della radioterapia;
  • controllare la qualità di vita delle pazienti per garantire una buona soddisfazione nonostante le possibili conseguenze dei trattamenti, ad esempio valutare la possibilità di somministrare ormonia basso dosaggio (terapia ormonale sostitutiva) alle donne in cui la rimozione in giovane età di utero e ovaie ha causato una menopausa chirurgica con sintomi quali vampate e problemi di invecchiamento precoce delle ossa e del sistema cardiovascolare.

Da sapere

Prima di andare dal medico per la consueta visita di follow-up perché non fare una lista di tutte le cose da chiedere, i dubbi, le informazioni necessarie? Questo l’aiuterà a non dimenticare nulla e ad uscire più serena dopo il colloquio e la visita.

La gestione della recidiva di tumore della cervice

Nel caso di una recidiva, ovvero della ricomparsa del tumore dopo il trattamento, la scelta del piano terapeutico è condizionato dai trattamenti cui è stata sottoposta la paziente al momento del trattamento primario e dalla sede della recidiva stessa. Tenuto conto che le procedure disponibili permangono quelle impiegate nella terapia di prima istanza (chirurgia, radioterapia e chemioterapia, avendo l’ormonoterapia un ruolo marginale e di palliazione) il progetto terapeutico dovrà essere definito cercando di ottenere il miglior risultato possibile minimizzando il rischio di effetti tossici derivanti dalla sommatoria delle procedure di trattamento.

Che cosa c’è di nuovo dalla ricerca sul tumore della cervice

La ricerca offre nuove possibilità di prevenire e curare il cancro della cervice. Negli ultimi anni la novità principale è stata rappresentata dai vaccini che aiutano a prevenire il tumore del collo dell’utero: il vaccino produce un’immunità verso alcuni tipi di HPV, per cui quelle donne che vengono esposte a questo tipo di ceppi virali non contraggono l’infezione. Questi vaccini sono stati preparati per prevenire anche altri ceppi di HPV non solo responsabili delle lesioni tumorali, ma anche di altre lesioni genitali come per esempio le verruche e i condilomi. I vaccini sono anche stati studiati per le donne che hanno già contratto un’infezione da HPV. La ricerca sta continuando ad elaborare vaccini che consentano di proteggere le pazienti verso un numero sempre più ampio di tipi di HPV ad alto rischio.
Molti studi clinici stanno inoltre testando nuovi farmaci chemioterapici (in particolare i cosiddetti “immunoterapici”, che agiscono sfruttando o annullando i check-point immunitari dell’organismo) e nuovi tipi di radioterapia, oltre che nuovi modi di combinare questi due tipi di trattamento. Può capitare che sia richiesto alla paziente di partecipare a studi clinici. Lo studio clinico è una ricerca, che ha come scopo quello di migliorare i trattamenti attualmente applicati o di ottenere informazioni su nuove modalità di trattamento per i pazienti oncologici. Se gli studi clinici dimostrano che un nuovo trattamento è migliore dei trattamenti attualmente impiegati come trattamenti “standard”, il nuovo trattamento potrà diventare il trattamento “standard”.

A cura di

Dr.ssa Giulia Parpinel, Dr.ssa Maria Elena Laudani, e Prof. Paolo Zola

Dipartimento Scienze Chirurgiche

Università degli Studi di Torino

 

Aggiornamento Maggio 2023

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