Tumori dell’utero o dell’endometrio

Forme benigne

Iperplasia endometriale

È caratterizzata da un aumentato numero di cellule che compongono l’endometrio. Può trattarsi di cellule senza anomalie ma talvolta possono anche presentarne. Di per sé non è un tumore, ma può evolvere talvolta verso una forma maligna. Mestruazioni molto abbondanti, perdite ematiche tra un ciclo e l’altro (spotting) o sanguinamenti anomali in menopausa sono segni tipici dell’iperplasia.

Tumori maligni

Sono in genere più seri e possono essere pericolosi per la vita della donna. Le cellule che compongono il tumore possono invadere e danneggiare gli organi e tessuti circostanti, possono entrare nel circolo sanguigno e linfatico e raggiungere anche organi molto lontani dall’utero determinando così la formazione di quelle nuove localizzazioni di malattia che vengono definite metastasi. Nel 95% dei casi il tumore dell’endometrio prende origine dalle ghiandole che si trovano sparse nell’endometrio stesso pertanto si parla di adenocarcinoma. Esistono due tipi di adenocarcinoma:

  • Tipo 1: le cellule tumorali sono abbastanza simili all’endometrionormale, non è così pericoloso per la vita come il tipo 2, raramente si diffonde agli altri organi. Questo tipo è spesso chiamato endometrioide perché è simile al tessuto da cui origina. L’obesità è un fattore di rischio per questa malattia. Per indicare la prognosi è importante avere anche informazioni riguardo il grado di “disordine” cellulare, cioè il “grading”. I gradi sono 3 e il terzo è quello più aggressivo: ha cioè un maggior rischio di invadere la parete uterina (miometrio) e di dare metastasi sia vicino all’utero sia a distanza.
  • Tipo 2: diversamente dal tipo precedente, le cellule tumorali non assomigliano all’endometrio Si diffonde più facilmente e quindi è più pericoloso per la vita. Comprende l’adenocarcinomasieroso papillare o a cellule chiare. Rappresenta il 10% dei tumori dell’endometrio. Le donne affette dal tipo 2 hanno generalmente 5-10 anni in più rispetto a quelle affette da tumore dell’endometrio di tipo 1 e non sono obese.

I tumori che non originano dagli elementi ghiandolari dell’endometrio sono chiamati sarcomi. Sono meno frequenti e includono:

  • sarcomi stromali, che originano dallo stroma, cioè dal tessutoconnettivo di sostegno dell’endometrio;
  • tumori maligni mesodermali misti;
  • leiomiosarcomi che originano dal miometrioo parete muscolare dell’utero.

 

Quali sono i sintomi

Il tumore dell’utero il più delle volte si manifesta dopo la menopausa, ma potrebbe in realtà presentarsi qualche anno prima della menopausa (perimenopausa). Sanguinamenti anomali dalla vagina sono il segno più frequente del tumore del corpo dell’utero; le perdite di sangue potrebbero essere anche molto scarse e non necessariamente di colore rosso vivo e potrebbero aumentare nel tempo. In menopausa le perdite di sangue devono sempre essere guardate con sospetto e pertanto in loro presenza è necessario rivolgersi al medico. Altri sintomi che richiedono una consulenza medica sono:

  • emorragie o perdite vaginali al di fuori della norma;
  • difficoltà o dolore ad urinare;
  • dolore durante rapporti sessuali;
  • dolore nella parte bassa dell’addome(pelvi).

Da sapere

Questi disturbi in realtà potrebbero manifestarsi anche in presenza di altri tumori o in concomitanza di patologie non necessariamente tumorali (benigne), ma solo un attento esame da parte del medico potrà escludere la loro origine tumorale.

Come si arriva alla diagnosi

Se una donna ha segni e sintomi che suggeriscono un tumore dell’utero verrà sottoposta a tutta una serie di accertamenti che generalmente vanno da un banale esame del sangue e/o delle urine fino a indagini più complesse. Gli accertamenti successivi prevedono:

  • esame della pelvi o pelvico: la visita della vagina, dell’utero, delle ovaie, della vescica e del retto da parte di un ginecologo, in questo modo si può riscontrare la presenza di masse o altri cambiamenti della forma e delle dimensioni di tali organi. Tramite uno strumento chiamato speculum, utilizzato per allargare le pareti vaginali, il medico è anche in grado di osservare la porzione superiore della vagina e la cervice.
  • Pap-test: questo esame è generalmente eseguito contemporaneamente all’esame della pelvi. Lo strumento utilizzato dal medico è una spatola in legno o piccola spazzola che consente di prelevare una piccola quantità di materiale cellulare dal collo dell’uteroe dalla parte superiore della vagina. Il materiale raccolto su un vetrino viene inviato ad un anatomo-patologo per essere esaminato. Il Pap-test serve per lo più a individuare alterazioni delle cellule della cervice uterina e raramente permette di raccogliere cellule che provengono dall’interno dell’utero è per questo motivo che per prelevare le cellule dell’endometrio si utilizza un’altra procedura la biopsia endometriale (vedi dopo).
  • ecografia transvaginale: il medico durante la visita inserisce uno strumento, chiamato sonda dalle dimensioni di una penna, direttamente in vagina. Lo strumento emette delle onde sonore ad alta frequenza all’interno dell’utero, gli echi che vengono emessi producono un’immagine sullo schermo dell’ecografo.
  • altre indagini strumentali: sono richieste soprattutto per valutare l’estensione della malattia, tra queste la TAC, cioè la tomografia assiale computerizzata, RMN cioè la risonanza magnetica nucleare e la PET, cioè la tomografia a emissione di positroni.

Da sapere

La diagnosi di tumore dell’endometrio può essere fatta con certezza solo dopo una biopsia che può essere fatta con uno di questi metodi:

Biopsia dell’endometrio, è una procedura che consiste nel prelevare un campione di endometrio dalla cavità uterina mediante una piccola cannula che viene inserita all’interno dell’utero. Questo esame dura pochi minuti, ma può essere fastidioso e dare dolori simili a quelli delle mestruazioni (ben controllati comunque con un semplice analgesico).

Isteroscopia, è una tecnica che consente al medico di guardare direttamente all’interno dell’utero utilizzando una piccola telecamera montata all’interno di un tubicino e inserita attraverso il canale cervicale per raggiungere così la cavità uterina. È il metodo migliore, anche se fastidioso per la donna, perché permette di eseguire delle biopsie mirate nelle aree “sospette”.

Dilation and curettage (D & C), in italiano definito “raschiamento”. Dopo aver dilatato la cervice si inserisce nella cavità uterina un piccolo strumento chirurgico tramite il quale si possono prelevare dei campioni tissutali più grandi e inviarli in laboratorio per la biopsia.

Il materiale raccolto con qualsiasi di queste procedure viene inviato all’anatomo-patologo che cerca la presenza di cellule tumorali all’interno del campione. Se il tumore è presente, non solo lo descriverà ma ne specificherà il tipo e in particolar modo il grado (vedi dopo). Dopo la biopsia la donna potrebbe avere perdite di sangue e dolori addominali.

Le categorie di rischio del tumore dell’utero

Una volta che il tumore dell’utero è stato diagnosticato, bisogna capire in che categoria di rischio si deve collocare la malattia tenendo in considerazione alcune sue caratteristiche in modo tale da programmare il miglior trattamento possibile. Innanzitutto si dovrà conoscere se e quanto la malattia si è diffusa (stadio) all’esterno all’utero. Il medico potrebbe quindi richiedere un’ecografia pelvica e/o una TAC, cioè la tomografia assiale computerizzata o una RMN, in alcuni casi si rendono necessarie altre indagini come ad esempio la colonscopia. In molti casi però, il modo migliore per capire la reale diffusione della malattia è l’asportazione dell’utero stesso con o senza asportazione delle ovaie e delle tube (isterectomia o isteroannessectomia). Solo una volta che l’utero è stato rimosso, il chirurgo può valutare la reale infiltrazione della parete uterina, la presenza di malattia nei linfonodi o in altri organi.

In base all’estensione del tumore vengono definiti quattro stadi di malattia:

Stadio I, il tumore è limitato al corpo dell’utero e non interessa la cervice uterina.

Stadio II, il tumore si è esteso dal corpo dell’utero al collo dell’utero.

Stadio III, il tumore dell’utero si è diffuso oltre il corpo dell’utero, ma non al di fuori della pelvi e non interessa la vescica e/o il retto. I linfonodi della pelvi potrebbero essere interessati dalla malattia.

Stadio IV, il tumore si è diffuso nel retto e nella vagina o si è diffuso oltre la pelvi in altri organi anche lontano dall’utero.

Ci sono poi delle caratteristiche del tumore che verranno chiarite dopo l’intervento chirurgico dall’anatomo-patologo e che servono a capire quanto la malattia si è diffusa nella parete stessa dell’utero. In questo caso si parla di invasione del miometrio, che spiega invece quanto la malattia si è approfondata nello spessore della parete dell’utero e di LVSI (infiltrazione neoplastica degli spazi linfovascolari), che si riferisce alla presenza di cellule tumorali nei vasi sanguigni e linfatici della parete dell’utero. Sempre l’anatomo-patologo dirà anche di che istotipo tumorale si tratta, ovvero quali sono i tessuti uterini che hanno prodotto le cellule con le anomalie tumorali. Il grado del tumore è indicativo di quanto le cellule tumorali assomigliano alle cellule normali che compongono l’utero e suggeriscono quanto velocemente il tumore sia in grado di crescere: il tumore di basso grado G1 cresce e si diffonde più lentamente rispetto ad un tumore ad alto grado G3. Un altro fattore recentemente introdotto nelle classificazioni riguarda la biologia molecolare: è infatti noto che anche per questo tumore esistono note mutazioni ricorrenti, spesso nell’ambito di sindromi genetiche ereditarie come la Sindrome di Lynch, la Poliposi Familiare o la Malattia di Cowden. Tuttavia il vero cambio di rotta è stato introdotto dalle scoperte del progetto The Cancer Genome Atlas (TGA), che ha individuato 4 diversi sottogruppi molecolari di tumore dell’endometrio:

  • Tumori ultramutati, caratterizzati da mutazioni del gene DNA polimerasi-epsilon (POLE) con buona prognosi
  • Tumori ipermutati, caratterizzati da instabilità dei microsatelliti (MSI) con prognosi intermedia
  • Tumori a basso numero di copie, caratterizzati a poche mutazioni (NSMP) con prognosi intermedia
  • Tumori ad alto numero di copie, caratterizzati da mutazioni di p53 con cattiva prognosi

Da sapere

Le categorie di rischio di rischio post-operatorie, che risultano dall’associazione delle caratteristiche descritte sopra, e che quindi tengono conto di tutti i fattori prognostici e di rischio citati prima sono le seguenti:

Rischio basso: stadio I-II, POLE mutato, tumore endometrioide, senza residuo tumorale ost-intervento; stadio IA MSI-NSMP mutato, tumore endometrioide G1 con LVSI negativo o focale.

Rischio intermedio: stadio IB MSI-NSMP mutato, tumore endometrioide, G1, LVSI negativo o focale; stadio IA MSI-NSMP mutato. Tumore endometrioide, G3, LVSI negativo o focale; stadio IA, p53 mutato, tumore non endometrioide.

Rischio intermedio-alto: stadio I MSI-NSMP mutato, tumore endometrioide, LVSI positivo; stadio IB MSI-NSMP mutato, tumore endometrioide, G3; stadio II, MSI-NSMP mutato, tumore endometrioide.

Rischio alto: stadi III-IVA, MSI-NSMP mutati, tumore endometrioide, tumore residuo 0; qualunque stadio, p53 mutato, tumore endometrioide con invasione miometriale, tumore residuo zero; qualunque stadio, istotipo non endometrioide con invasione miometriale, tumore residuo zero.

Avanzato: stadi III-IVA con residuo tumorale o IVB.

Metastatico: stadio IV più grave

Cosa succede dopo la diagnosi

La scelta del tipo di trattamento dipende dalle dimensioni del tumore, dallo stadio della malattia, dalla presenza sulle cellule tumorali di recettori per gli estrogeni e il progesterone e dal grado del tumore. La scelta del trattamento dipende in realtà non solo da questi fattori strettamente correlati alla malattia, ma anche da altri fattori che potrebbero condizionare il tipo di trattamento come ad esempio l’età, lo stato di salute, il desiderio di avere figli. Ci sono quattro possibilità di trattamento per il tumore dell’utero: la chirurgia, la radioterapia, la terapia con ormoni e la chemioterapia.

Da sapere

La chirurgia rimane il trattamento principale per la maggior parte delle donne con questo tipo di tumore, ma in alcune situazioni, è necessaria una combinazione di due o più trattamenti, ad esempio alcune donne ricevono anche la radioterapia, un numero minore di donne è trattato con terapia ormonale. È difficile limitare gli effetti delle terapie in modo che le sole cellule tumorali vengano rimosse o distrutte; gli effetti collaterali insorgono proprio perché il trattamento interessa forzatamente anche le cellule e i tessuti sani. Gli effetti collaterali dipendono da numerosi fattori, ad esempio il tipo e la durata del trattamento e possono variare da persona a persona, persino da un trattamento a quello successivo. I medici e il personale infermieristico vi forniranno spiegazioni sui possibili effetti collaterali e vi assisteranno per alleviare i disturbi che si presenteranno durante la terapia.

Chirurgia

La maggior parte delle donne va incontro ad un trattamento di tipo chirurgico che consiste nella rimozione dell’utero: questa operazione è chiamata isterectomia. Generalmente vengono asportate anche le tube e le ovaie, in questo caso si parla di annessiectomia bilaterale. Il prelievo dei linfonodi è necessario al fine di avere un’informazione adeguata per la stadiazione chirurgica. La scelta normalmente prevede la biopsia del linfonodo sentinella che limita gli effetti collaterali della linfadenectomia (linfedema, danni alle strutture nervose o vascolari ecc). Questa tecnica prevede l’iniezione di un radiotracciante (verde Indocianina) a livello della cervice uterina prima dell’intervento chirurgico. In questo modo sarà possibile per il chirurgo individuare il primo linfonodo pelvico che drena l’utero da ambo i lati e prelevarlo. Nel caso in cui il tracciante non abbia individuato il linfonodo sentinella, o i linfonodi siano sospetti in fase stadiativa pre-chirurgica, l’opzione di scelta sarà la linfadenectomia pelvica, ovvero l’asportazione di tutta la catena linfonodale pelvica. Se le cellule tumorali vengono ritrovate all’interno dei linfonodi potrebbe significare che la malattia può aver raggiunto altre parti del corpo. Dopo un’isterectomia le pazienti sono di solito soggette, nei giorni successivi l’intervento chirurgico, a dolore addominale e grande stanchezza, in alcuni casi a nausea e vomito o a problemi nella ripresa delle normali funzioni urinarie ed intestinali. Gli effetti dell’anestesia e un senso di malessere generale potranno limitare l’attività fisica. La dieta sarà composta inizialmente da alimenti liquidi, ma gradualmente la paziente potrà arrivare a consumare pasti regolari. La durata della degenza in ospedale potrà variare da pochi giorni ad una settimana. Nelle pazienti sottoposte a isterectomia si verifica la scomparsa delle mestruazioni, poiché viene a mancare l’organo da cui originano; allo stesso tempo la rimozione delle ovaie provoca immediatamente la menopausa. Le vampate di calore e altri sintomi tipici della menopausa – come ad esempio insonnia, modificazioni dell’umore, secchezza dei tessuti – che seguono l’intervento chirurgico possono essere, in alcuni casi, più gravi di quelli provocati dalla menopausa naturale. La tecnica è solitamente la laparoscopia, che riduce i rischi di complicanze dopo l’intervento, che sono più bassi, e il ricovero in ospedale dura qualche giorno in meno. L’alternativa è rappresentata dalla laparotomia, ovvero l’apertura chirurgica dell’addome con un singolo taglio. Molto raramente l’intervento viene eseguito per via vaginale. Dopo l’intervento chirurgico sarà possibile riprendere le normali attività nel giro di 4-8 settimane. L’isterectomia non ha alcuna influenza sul desiderio e non impedisce rapporti sessuali regolari, tuttavia alcune donne potranno provare un senso di perdita che potrà rendere difficile l’intimità. Un adeguato consulente potrà aiutare la paziente e il suo partner a superare questo tipo di problemi. Se la malattia interessa solo la parte più interna dell’endometrio, cioè se è confinata ad una porzione ristretta dell’utero la donna non necessita di un ulteriore trattamento oltre a quello chirurgico.

Radioterapia

La radioterapia consiste nell’uso di radiazioni ad alta energia con l’intento di uccidere le cellule tumorali. La radioterapia può essere somministrata collocando una sorgente di radiazioni all’interno del corpo vicino al tumore: questo tipo di radioterapia viene chiamata brachiterapia. Le radiazioni possono essere fornite anche da una macchina esterna al corpo, in questo caso si parla di radioterapia esterna. Talvolta la cura del tumore richiede sia la brachiterapia sia la radioterapia esterna. La diffusione del tumore determina quanto deve essere estesa la zona della pelvi da esporre a queste radiazioni. In alcuni casi solo la cupola vaginale (il terzo superiore della vagina) necessita di un trattamento, in questa situazione una fonte di radiazioni è inserita nella vagina. La radioterapia esterna richiede un trattamento che va dai 4 ai 5 giorni a settimana. La cute che deve essere irradiata viene delimitata da un inchiostro permanente simile ad un piccolo tatuaggio. Viene prodotto uno speciale modello della pelvi e della parte inferiore della schiena in modo tale che la donna venga posizionata sempre nella stessa posizione ad ogni applicazione. Ogni singolo trattamento dura meno di mezz’ora e la paziente dovrà recarsi ogni giorno del trattamento in ospedale. La radioterapia inibisce la crescita e la divisione cellulare e colpisce sia le cellule tumorali sia le cellule sane, generalmente le cellule sane vanno incontro a processi riparativi. Gli effetti collaterali della radioterapia dipendono quasi interamente dalle dosi di radiazioni e dalla zona trattata, e tra questi figurano:

  • la “fatica” (spesso chiamato come in inglese fatigue), cioè un senso profondo di spossatezza e stanchezza, che può essere anche molto importante e che può manifestarsi fino a dopo due settimane dall’inizio del trattamento.
  • a volte le radiazioni che attraversano la cute per arrivare al tumorepossono danneggiare la pelle: si può verificare una irritazione che può variare da un rossore temporaneo alla depigmentazione permanente della cute.
  • la pelle potrebbe rilasciare secrezioni e potrebbe infettarsi, per cui è molto importante tenere pulita e protetta la cute interessata.
  • la diarrea è l’effetto collaterale più frequente, ma può essere controllata da farmaci.
  • l’irritazione alla vescica, chiamata cistite da radiazioni, potrebbe determinare difficoltà ad urinare e la necessità di dover urinare spesso.
  • stenosi vaginale (restringimento della vaginaa causa del tessuto cicatriziale), che potrebbe rendere i rapporti sessuali dolorosi. La donna dovrebbe astenersi dai rapporti durante la radioterapia, ma potrà riprendere l’attività sessuale entro poche settimane dalla fine del trattamento.
  • la menopausaprecoce potrebbe essere un altro effetto collaterale della radioterapia, anche se nella maggior parte dei casi le donne irradiate hanno già asportato l’utero e le ovaie.
  • la radioterapia pelvica potrebbe comportare anche una debolezza delle ossa della pelvicon l’aumento del rischio di frattura ossea.
  • la riduzione del numero dei globuli bianchi, che proteggono il corpodalle infezioni.

Terapia ormonale

Gli ormoni si legano ai recettori ormonali determinando modificazioni del tessuto uterino. Prima di iniziare la terapia ormonale il medico richiede un test per individuare quali e quanti recettori sono presenti sull’utero. Questo test permette di capire se l’utero esprime recettori per gli estrogeni e il progesterone. Se il tumore ha recettori la donna risponderà alla terapia ormonale con maggiori probabilità. Il medico potrebbe decidere di consigliare una terapia ormonale qualora la chirurgia o la radioterapia non siano possibili, e quanto la malattia si è già diffusa ai polmoni o ad altri organi. Di solito si utilizzano come terapia ormonale delle compresse di progesterone. I due più comuni progestinici utilizzati sono il medrossiprogesterone acetato e il megestrolo acetato. Questi farmaci agiscono rallentando la crescita delle cellule tumorali. Il tamoxifene, un antiestrogeno comunemente utilizzato nel tumore della mammella, potrebbe essere utilizzato nel trattamento del tumore dell’endometrio avanzato o recidivo. L’obiettivo della terapia con tamoxifene è di prevenire la circolazione degli estrogeni nel corpo della donna. La terapia ormonale può provocare numerosi effetti collaterali, ed essendo una terapia sistemica i suoi effetti si avranno anche sulle altre cellule del corpo. L’assunzione di progesterone può causare spossatezza e variazioni del peso e dell’appetito, nonché ritenzione idrica. Le donne in pre-menopausa potranno rilevare alterazioni del ciclo mestruale.

Chemioterapia

La chemioterapia consiste nell’utilizzo di farmaci (somministrati per vena o per bocca) per combattere il tumore; i farmaci entrano in circolo e raggiungono tutte le aree del corpo, rendendo questo trattamento potenzialmente utile se il tumore si è diffuso anche oltre l’endometrio. Se si decide per il trattamento chemioterapico di solito vengono somministrati più farmaci contemporaneamente perché si è visto che la combinazione di più farmaci è più efficace. I farmaci utilizzati potrebbero essere il carboplatino, il taxolo, la doxorubicina. Questi farmaci uccidono le cellule tumorali ma possono contemporaneamente danneggiare altre cellule normali. Gli effetti collaterali dipendono dal farmaco e dalla durata del trattamento, tra i più frequenti si riscontrano: nausea, vomito, perdita dell’appetito, secchezza vaginale e della bocca, perdita di capelli.
Gli effetti collaterali, come per altri tipi di trattamento, possono variare da un soggetto all’altro. In genere i farmaci usati durante la chemioterapia colpiscono le cellule che si dividono rapidamente, come le cellule ematiche, che aiutano l’organismo a combattere le infezioni, favoriscono la coagulazione del sangue e trasportano l’ossigeno a tutti gli organi. Quando questo tipo di cellule subisce gli effetti dei farmaci antitumorali, la paziente è maggiormente esposta a infezioni, contusioni o emorragie e si potrà sentire priva di energia. Anche le cellule che compongono le radici dei capelli e quelle che rivestono l’apparato digerente si dividono rapidamente. Di conseguenza, altri effetti collaterali della chemioterapia potranno consistere nella perdita dei capelli, nausea, vomito o dolori alla bocca. Normalmente tali disturbi scompaiono gradualmente nel periodo di intervallo tra un ciclo di terapia e l’altro oppure dopo la fine del trattamento. Recentemente sono stati sperimentati e introdotti nelle terapie anticopri monoclonari, che agiscono potenziando o bloccando i meccanismi di difesa immunitari spesso compromessi in questo tipo di tumore. La ricerca sta continuando a muoversi per migliorare la nostra conoscenza in questo ambito e, soprattutto grazie alle nuove scoperte relative alla biologia molecolare, si punta ad avere terapie sempre più mirate per la specifica patologia e la specifica paziente.

Il trattamento in base alla categoria di rischio

Rischio Basso

L’opzione terapeutica è la chirurgia (isterectomia totale addominale, annessiectomia bilaterale e biopsia del linfonodo sentinella) e generalmente non sono previsti trattamenti adiuvanti.

Rischio Intermedio

Le opzioni terapeutiche saranno le seguenti:

  • chirurgia (isterectomiatotale addominale e annessiectomia bilaterale), con prelievo linfonodale dei linfonodi sentinella o linfadenectomia pelvica bilaterale. Raramente risulta necessario eseguire la linfadenectomia lomboaortica. Ovvero il prelievo dei linfonodi che si trovano ai lati dell’aorta e della vena cava nel centro dell’addome.
  • chirurgia (isterectomiatotale addominale e annessiectomia bilaterale) con o senza prelievo linfonodale seguita da radioterapia interna. Dopo l’intervento, si potrà introdurre in vagina un cilindro di plastica, all’interno del quale sarà collocata la sorgente radioattiva, con lo scopo di distruggere le eventuali cellule neoplastiche residue.
  • radioterapia da sola per pazienti inoperabili.

Rischio Intermedio-Alto

Le opzioni terapeutiche saranno le seguenti:

  • chirurgia (isterectomiaradicale e annessiectomia bilaterale) con prelievo linfonodale per l’esame istologico al microscopio, seguita dalla radioterapia interna e esterna.
  • radioterapia da sola per pazienti inoperabili.
  • ormonoterapia per pazienti non eleggibili alla chirurgia o alla radioterapia.
  • raramente chemioterapia.

 

Stadio IV

Le opzioni terapeutiche sono le seguenti:

  • raramente è possibile ricorrere alla chirurgia seguita da radioterapia interna o esterna o eventualmente dalla chemioterapia.
  • radioterapia esterna combinata con la chemioterapia.
  • ormonoterapia o chemioterapia da sole.

Carcinoma endometriale recidivante

Si definisce recidivante il cancro dell’endometrio che si ripresenta dopo il trattamento. La recidiva può svilupparsi nella pelvi, nei linfonodi addominali o in altri organi. Se il tumore si ripresenta si potrà scegliere tra le seguenti opzioni terapeutiche:

  • chirurgia solo nei rari casi in cui è possibile ottenere beneficio o ridurre i sintomi. Spesso si tratta di una chirurgia molto demolitiva, per cui questa opzione deve essere discussa attentamente con la paziente.
  • radioterapia associata o meno alla chemioterapia.
  • ormonterapia.
  • chemioterapia.

Spesso si tratta comunque di trattamenti palliativi, ossia miranti ad alleviare i sintomi e a migliorare la qualità di vita.

Da sapere

È consigliabile seguire le indicazioni dell’oncologo curante nel caso in cui proponga la partecipazione a studi clinici miranti a valutare l’efficacia di nuove combinazioni di prodotti antitumorali e/o di nuovi protocolli terapeutici.

Il follow-up: che cosa è

Una parte importante del piano terapeutico consiste in un adeguato monitoraggio della paziente dopo il trattamento. Le visite di controllo saranno più frequenti subito dopo queste procedure fino ad arrivare ad una cadenza annuale: in assenza di recidive, si inizia con una frequenza ogni 3-4 mesi per i primi 2 anni, ogni 6 mesi per i successivi 3 anni e infine annuale dopo 5 anni. Si è visto che circa il 75% delle recidive del tumore dell’endometrio si riscontra entro i primi 3 anni dalla diagnosi, successivamente la recidiva è meno probabile, pertanto i controlli vengono fatti anche a distanza di 1 anno.

Da sapere

Prima di andare dal medico per la consueta visita di follow-up perché non fare una lista di tutte le cose da chiedere, i dubbi, le informazioni necessarie? Questo l’aiuterà a non dimenticare nulla e ad uscire più serena dopo il colloquio e la visita. Durante la visita di follow-up il ginecologo eseguirà una visita ginecologica che prevede un’esplorazione combinata della vagina e palperà eventuali linfonodi oltre all’addome. Potranno anche essere richiesti esami del sangue. Le indagini strumentali (ecografia transvaginale, TAC, RMN, PET etc) vengono in genere richiesti come approfondimento in casi specifici.

Remissione e prognosi

Le persone con un tumore e le loro famiglie saranno naturalmente preoccupati circa le possibilità di recidiva e su cosa riserverà loro il futuro. Talvolta si cerca di ottenere maggiori informazioni basandosi su statistiche, ma è importante ricordare che tali statistiche esprimono dati ottenuti prendendo in esame un numero elevato di pazienti; non ci si può pertanto basare solo su di esse per sapere che cosa accadrà ad una singola paziente in particolare, perché ogni persona è un caso a sé, diverso da qualsiasi altro. Il medico curante, che conosce la storia clinica della paziente, è la persona più adatta per discutere sulle prospettive future e per parlare di prognosi. Quando i medici discutono sulla prognosi di un paziente, usano spesso il termine “sopravvivenza” piuttosto che “guarigione”. In effetti, molte delle pazienti affette da cancro uterino guariscono completamente, tuttavia la malattia può ripresentarsi e di questo è importante parlare con il medico curante.

Prevenzione: è possibile?

Sebbene la maggior parte dei tumori dell’utero non siano prevenibili, sicuramente ci sono delle condizioni che possono comunque aumentare il rischio di sviluppare il tumore dell’utero. Questo è correlato principalmente alle condizioni che aumentano il livello degli estrogeni nell’organismo:

  • Terapia ormonale sostitutiva in menopausa: gli estrogenistimolano la crescita dell’endometrio, per cui la terapia ormonale in menopausa potrebbe aumentare il rischio di sviluppare il tumore dell’endometrio. Assumendo però anche un progestinico, simile all’ormone progesterone, questa combinazione determina una riduzione del rischio di sviluppare il tumore dell’endometrio. Una situazione simile si ha nelle pazienti che assumono Tamoxifene per il trattamento del tumore della mammella. In questo caso vengono proposte ecografie periodiche per il controllo dello spessore endometriale.
  • Obesità: è uno dei fattori di rischio più importante per l’insorgenza del tumoredell’endometrio nella maggior parte delle donne. L’eccesso di grasso infatti aumenta i livelli di estrogeni nel corpo, con conseguente aumento del rischio di tumore dell’endometrio; pertanto il mantenimento di un peso adeguato è utile non solo per ridurre il rischio di sviluppare il tumore dell’utero ma anche per prevenire altre patologie.
  • Diabete: in particolare il diabete mellito di tipo 2 raddoppia il rischio di tumore
  • Ovaio policistico: a sua volta può portare a diabete, obesità e infertilità.

Un discorso a parte va fatto per le sindromi genetiche che predispongono alla formazione di tumori fra cui la Sindrome di Lynch: a queste pazienti viene proposta una sorveglianza particolare a partire dalla giovane età tramite ecografia e in alcuni casi si può ricorrere anche alla chirurgia profilattica asportando l’utero, le ovaie e le tube. Fra i fattori che invece riducono il rischio di sviluppare il tumore dell’endometrio possiamo avere la pillola anticoncezionale, che riduce il rischio di tumore dell’endometrio perfino 10 anni dopo la sua sospensione, la regolare attività fisica e la riduzione di peso.

Ricerca e studi clinici

Sono in corso studi sperimentali sull’efficacia e sugli effetti collaterali di nuovi tipi di trattamento. In alcuni studi tutte le pazienti ricevono il nuovo trattamento, mentre in altri i medici confrontano terapie diverse somministrando il nuovo trattamento ad un gruppo di pazienti e la terapia standard ad un altro gruppo. Le pazienti che partecipano a tali studi, oltre a dare un importante contributo allo sviluppo della ricerca medica, potrebbero essere le prime a beneficiare degli effetti di trattamenti che si sono dimostrati promettenti nel corso di fasi di studio precedenti. Nuovi metodi di somministrazione della radioterapia e della chemioterapia sono allo studio, unitamente a nuovi farmaci, da soli o in combinazione, tra cui tipi di terapia biologica e combinazioni di trattamenti diversi. Alcuni studi sono volti alla ricerca di nuovi metodi per ridurre gli effetti collaterali, al fine di migliorare la qualità della vita delle pazienti.

A cura di
Dr.ssa Giulia Parpinel, Dr.ssa Maria Elena Laudani e Prof. Paolo Zola
Dipartimento Scienze Chirurgiche
Università degli Studi di Torino

 

Aggiornamento Maggio 2023

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