La diagnosi precoce

Diagnosi precoce e screening

In oncologia si parla di diagnosi precoce quando esiste la possibilità identificare, attraverso un esame specifico valido e affidabile, un tumore quando questo non ha ancora manifestato sintomi, è di piccole dimensioni ed è poco esteso. Anticipando la diagnosi è possibile curare con terapie meno invasive, con interventi chirurgici più limitati, e con migliori possibilità di successo. Nella popolazione femminile il caso più conosciuto è l’uso della mammografia per il tumore della mammella (www.donnainformata-mammografia.it).

Gli screening, in particolare quelli che riguardano l’oncologia, mirano ad anticipare la diagnosi di una patologia e hanno come obiettivo quello di ridurre la mortalità. Gli screening sono interventi di sanità pubblica che riguardano l’intera popolazione. Ci sono diversi paesi al mondo, compresa l’Italia, che mettono in atto programmi di screening organizzati a livello nazionale per il tumore al seno, all’intestino e per quello della cervice, raggiungendo una riduzione nella mortalità specifica. La qualità di tutti i programmi di screening organizzati presenti in Italia è monitorata e valutata all’interno di iniziative nazionali e internazionali, per questo è bene affidarsi solo a questi programmi (Fonte: Osservatorio Nazionale Screening). Perché si avvii un programma di screening devono essere garantito che il programma sia sicuro, accettabile, deve cambiare il decorso della malattia. In altre parole non ha senso anticipare la diagnosi – e quindi fornire alla persona la consapevolezza di essere affetta da una patologia – se non sono disponibili trattamenti in grado di curarla o rallentarne il decorso in maniera significativa. Dal momento che lo screening si rivolge a popolazioni che possono essere anche molto ampie, ed è sostenuto dal servizio sanitario, occorre coniugare l’efficacia diagnostica del test alla sostenibilità economica del programma.

 

Tumore ovarico

Purtroppo per il tumore ovarico non esistono esami che permettano di anticipare la diagnosi e anche per questo la diagnosi viene fatta spesso tardivamente. Le linee guida dell’Associazioni Italiana Oncologia Medica (AIOM, 2021) riportano che: “Uno dei motivi della bassa sopravvivenza a lungo termine del carcinoma ovarico è la diagnosi in fase avanzata di malattia. Ancora oggi, infatti, non disponiamo di procedure diagnostiche con adeguata sensibilità e specificità tali da permettere una diagnosi in stadio precoce. Un trial (studio clinico) multicentrico statunitense ha reclutato 78.216 donne di età compresa tra 55 e 74 anni, che sono state randomizzate a screening annuale con dosaggio del CA125 per 6 anni e ecografia transvaginale per 4 anni o nessuno screening. Nessuna differenza è stata evidenziata tra i due gruppi in termini di sopravvivenza. Un studio multicentrico inglese che ha arruolato 202.638 donne tra 50 e 74 anni ha evidenziato che uno screening multimodale annuale con ecografia transvaginale e dosaggio del Ca125, pur riducendo l’incidenza di neoplasia diagnosticata in stadio III-IV, non riduceva la mortalità da carcinoma ovarico”.        (https://www.iss.it/documents/20126/8403839/LG%20502%20AIOM_Ca%20ovaio%202021)

A conferma di ciò i servizi di prevenzione di diversi paesi confermano la seguente raccomandazione: lo screening per il tumore ovarico non deve essere intrapreso nella popolazione generale.

Da sapere

Nel 2020 sono emersi interessanti risultati che aprono una nuova frontiera per la diagnosi precoce del tumore epiteliale maligno sieroso ad alto grado dell’ovaio. Il termine tumore ovarico è improprio in quanto la malattia più che dalle ovaie sembra originarsi da altri organi genitali femminili, quali le fimbrie, e da lì diffondersi solo in secondo momento sulla superfice dell’ovaio e della cavità peritoneale. Per questa ragione da alcuni anni diversi gruppi di ricerca hanno cominciato a domandarsi se non fosse possibile utilizzare un comune test di screening largamente utilizzato a scopo preventivo, come il Pap-test per fare diagnosi precoce del tumore  della cervice uterina, anche per il tumore ovarico. L’idea di questo approccio nasce dalla continuità anatomica tra la cervice uterina e gli organi genitali femminili superiori, come le fimbrie dove appunto si sa origini il tumore ovarico sieroso ad alto grado. Una ricerca del gruppo dei ricercatori dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS ha dimostrato, attraverso la combinazione di due tecnologie, che era possibile identificare la mutazione sentinella nel gene TP53 fino a sei anni prima della diagnosi di malattia, un tempo di sviluppo questo del tutto compatibile con i modelli di sviluppo del tumore ovarico. I ricercatori hanno condotto questo studio pilota su 17 pazienti di cui erano disponibili sia il Pap-test al tempo della diagnosi che negli anni precedenti all’intervento chirurgico. Questa scoperta apre una nuova strada alla possibilità di diagnosi precoce del tumore ovarico sieroso ad alto grado, tuttavia i risultati necessitano ancora di verifica su un campione più esteso di pazienti.

Grandi studi ma risultati non definitivi

Per sapere se serve fare lo screening è necessario avere dati da studi clinici che, come succede per i farmaci, ci dicono se un intervento funziona o non funziona. Nello screening, coinvolgendo la popolazione “sana” è molto importante che i risultati siano solidi e che le donne invitate non subiscano danni come risultato degli esami fatti. Pertanto è molto importante raccogliere corrette informazioni prima di intraprendere esami di screening per non incorrere nel rischio possibile di sovradiagnosi o sovratrattamento.

Qui di seguito sono riportati i risultati di alcuni studi clinici:

  • In uno studio americano su 78.216 donne tra 55 e 74 anni le partecipanti sono state sottoposte per sei anni a screening con Ca125 ed ecografia transvaginale. I risultati non sono favorevoli allo screening, che dimostra di non ridurre la mortalità per questa neoplasia nella popolazione generale, inoltre è possibile che molte donne siano sottoposte a interventi chirurgici non necessari – alcuni dei quali portano anche a rischio di complicanze gravi (Buys 2011).
  • In uno studio inglese su 202.638 donne tra 50 e 74 anni, in post menopausa, le partecipanti sono state divise in tre gruppi: nessuno screening, screening annuale con dosaggio del Ca125 con il ricorso all’ecografia transvaginale come esame di secondo livello, oppure screening annuale con sola ecografia transvaginale. Sono stati evidenziati dei risultati incoraggianti sulla riduzione della mortalità, tuttavia gli autori dichiarano che bisogna accumulare ancora altri dati per capire bene l’efficacia dello screening nella popolazione (Jacobs 2016).
  • In uno studio clinico randomizzato con 68.616 pazienti tra 55 e 74 anni le donne venivano sottoposte o alla normale pratica clinica (braccio di controllo) o al programma di screening (braccio di intervento) che consisteva nell’eseguire il test Ca125 con uno specifico cut-off (≥35kU/L) e l’ecografia transvaginale (Buys 2005). Le donne sono state seguite per circa 13 anni. A un follow-up mediano di circa 12 anni sono state riportate 118 morti nel braccio di intervento e 100 morti nel braccio di controllo, non mostrando quindi un beneficio da parte dell’intervento in termini di mortalità (Buys 2011). Inoltre si assiste ad un alto tasso (15%) di serie complicazioni nelle donne risultate positive allo screening ma in realtà non malate che venivano sottoposte lo stesso a chirurgia (Menon 2011).
  • Nello studio Kentucky sono state incluse 25.327 donne, le quali annualmente venivano sottoposte all’ecografia transvaginale. A cinque anni il tasso di sopravvivenza nelle donne con una diagnosi di tumore ovarico primario aumenta quasi del 20% rispetto alle donne trattate, nello stesso ospedale e durante lo stesso periodo, ma che non partecipavano allo studio. Questo studio ha dei limiti metodologici, tra i quali si riconosce immediatamente che non si tratta di uno studio randomizzato, e risente molto della partecipazione volontaria delle donne sane (van Nagell 2007, Baldwin 2012).

 

Le direzioni future

Negli ultimi 10 anni ci sono stati significativi progressi su come definire il rischio di avere una malattia sulla base di fattori genetici ed epidemiologici. Probabilmente, si potrebbe assistere ad una migliore efficacia dei programmi di screening se la popolazione fosse stratificata sulla base del rischio. Questo rischio è da valutarsi sulla base dell’età, della presenza di familiarità con il tumore ovarico, al seno e al colon. Purtroppo nel tumore ovarico non ci sono ancora prove sufficienti su come le mutazioni di alcuni geni (ad esempio BRCA1 o BRCA2) rappresentino un indicatore standardizzato per la valutazione del rischio, questo è sicuramente complicato dalla grande varietà di tipi di tumore ovarico esistenti. L’implementazione di un ipotetico programma di screening stratificato, oltre che con la valutazione di efficacia, sulla base del rischio potrebbe essere una soluzione che sicuramente, in seguito, dovrà fare i conti con i diversi aspetti organizzativi, etici, legali e sociali oltre che di tipo costo-efficacia.

Tumori dell’utero o dell’endometrio

Non esistono al momento test di diagnosi precoce o screening.

Tumori della cervice uterina o del collo dell’utero

I programmi di screening italiani stanno adottando gradualmente il test HPV al posto del Pap-test, come nuovo test di screening per la prevenzione di questo tumore. Lo screening con test HPV, offerto alle donne di età dai 30-35 anni, insieme alla vaccinazione anti-HPV offerta alle ragazze nel 12° anno di età, consente infatti di migliorare la lotta contro con questa malattia (Fonte: Gruppo Italiano Screening del Cervicocarcinoma).

Il test HPV (detto anche DNA HPV test) consiste nel prelievo di una piccola quantità di cellule dal collo dell’utero (o cervice uterina) che vengono successivamente analizzate per verificare la presenza di Papillomavirus.

Il Pap-test è uno strumento che permette di individuare precocemente le lesioni che precedono lo sviluppo del tumore. Trattando queste lesioni (dette precancerose appunto) è possibile prevenire lo sviluppo del tumore del collo dell’utero.

L’HPV test permette di identificare le donne che hanno una infezione potenzialmente a rischio di indurre un processo di carcinogenesi, il Pap-test valuta se ci sono delle alterazioni cellulari indotte dall’infezione.

Nei programmi di screening sono così invitate:

  • Le donne in fascia di età compresa fra 25 e 29-34 anni continuano a essere invitate a fare il Pap-test ogni 3 anni (alcuni programmi utilizzano il test HPV dai 30 anni, altri dai 35 anni);
  • Le donne in fascia di età compresa fra 30-35 e 64 anni sono invitate a fare il test HPV ogni 5 anni.

 

Vaccino HPV

Da diversi anni è disponibile un vaccino per il virus HPV. In Italia la vaccinazione è raccomandata per le ragazze e i ragazzi nel corso del dodicesimo anno di età. Viene cioè consigliata prima di iniziare l’attività sessuale. La vaccinazione è gratuita se effettuata in questa fascia d’età. La popolazione maschile trae vantaggio dalla vaccinazione perché si protegge dai condilomi anogenitali e da alcuni tumori correlati all’infezione, come quelli del pene, dell’ano e della base della lingua. Chiaramente, vaccinando sia maschi sia femmine si limita la circolazione del virus. Per le donne vaccinate è comunque raccomandato lo screening per il tumore della cervice.

A cura di

Maurizio D’Incalci

Humanitas University

Lab. Farmacologia Antitumorale Humanitas Research Hospital

Aggiornamento Luglio 2023

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