In una precedente Newsletter della Fondazione Mattioli (vedi gennaio 2017) si era iniziato a discutere di alcune nuove terapie farmacologiche disponibili in commercio per il trattamento del tumore epiteliale maligno dell’ovaio, sieroso ad alto grado. Dopo tanti anni in cui la proposta terapeutica si basava esclusivamente sulla combinazione di carboplatino e taxolo, si sta assistendo ad una vera e propria “nuova primavera”

con il fiorire di diverse molecole che entrano in diversi studi clinici internazionali e l’autorizzazione da parte delle principali agenzie regolatorie, (i.e., FDA e EMA) all’uso in clinica di nuove molecole ad attività antitumorale per il tumore ovarico.

Il primo in ordine di tempo è stato l’Avastin™, un farmaco il cui principio attivo, Bevacizumab, ha proprietà anti-angiogeniche, cioè è in grado di interferire con la proliferazione dei vasi sanguinei del tumore, impedendogli di nutrirsi e crescere. Il Bevacizumab è oggi utilizzato regolarmente in prima linea, in combinazione con la terapia standard di carboplatino e taxolo.

L’armamentario terapeutico si è recentemente arricchito anche di una nuova classe di molecole note comunemente con il termine di PARP inibitori (PARPi). Giusto per richiamare alcuni concetti fondamentali sulle caratteristiche di questa classe di molecole, i PARPi sono dei composti di sintesi in grado di interferire con i sistemi di riparazione del danno al DNA. Si tratta di farmaci che sono somministrati per via orale e questo facilita molto la terapia delle pazienti. Ma il loro utilizzo in clinica seguiva inizialmente dei vincoli ben precisi. La terapia con PARPi poteva essere adottata solo per quelle pazienti con tumore sieroso ad alto grado che avessero avuto una recidiva platino sensibile e con mutazioni germinali in due geni particolari BRCA1/2. Si è diffusa l’idea che anche nel tumore sieroso maligno ad alto grado si potesse sviluppare una terapia farmacologica mirata a dei bersagli molecolari ben precisi (“target therapy”). Da qui le sempre più pressanti richieste di fare il test genetico per i geni BRCA1/2. L’idea con cui si chiudeva la Newsletter di gennaio 2017 era in controtendenza con questa opinione, in quanto veniva sottolineato che non era ancora completamente chiarito il meccanismo d’azione dei PARPi e forse altre pazienti, non necessariamente portatrici delle mutazioni nei geni BRCA1/2, potessero beneficiare di questa terapia. Insomma, era eccessivo e troppo prematuro parlare di “target therapy”per il tumore epiteliale maligno dell’ovaio.

Che cosa è cambiato in questi anni?
In un articolo recentemente pubblicato sulla rivista scientifica americana Clinical Cancer Research viene fatto il punto su una decisione presa circa un anno fa dalla agenzia regolatoria americana  e successivamente da quella europea di approvare ZEJULA™ (Niraparib), uno dei farmaci della classe dei PARPi per la terapia in donne con carcinoma ovarico ricorrente indipendentemente dalla presenza di mutazioni in BRCA1/2. Questa è una decisione importante perché Niraparib è il primo composto  ad attività PARPi ad essere approvato senza alcuna richiesta del test della mutazione  sui geni BRCA1/2 oppure su altri biomarcatori. Può essere dato a tutte le pazienti con diagnosi di tumore sieroso ad alto grado che abbiano una malattia che ha recidivato dopo un iniziale trattamento terapeutico.

Perchè questa decisione?
La possibilità di estendere a tutte le pazienti l’utilizzo di questa molecola si è basata sui dati di uno studio clinico internazionale di fase III, denominato ENGOTOV16/NOVA. Ancora una volta i progressi in medicina sono stati resi possibili grazie ad uno strumento importantissimo: lo studio clinico controllato.

Di che tipo di terapia si tratta?
Le autorizzazioni ottenute sono per una terapia di mantenimento in dosi orali giornaliere di farmaco da solo, cioè in monoterapia. Questo vuol dire che, indipendentemente dallo stato mutazionale di BRCA1/2, per le donne con diagnosi di tumore sieroso ad alto grado che dopo la prima linea di terapia con carboplatino e taxolo prendono ogni giorno una dose di farmaco, si allontana nel tempo il rischio di avere una recidiva. Questi tipi di farmaci sono detti “incrementalisti” in quanto incrementano l’intervallo di tempo libero da malattia. Come tutti ii farmaci anti-tumorali, anche la terapia con PARPi si accompagna con effetti tossici che possono essere controllati dal medico curante aggiustandone la dose.
I risultati di questi studi  stanno  fornendo sia dei nuovi strumenti terapeutici ma anche aprendo nuovi paradigmi per migliorare la terapia di tumori sierosi ad alto grado dell’ovaio.

Sergio Marchini
Dipartimento di Oncologia
IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri

Referenze
Ison G, Howie LJ, Amiri Kordestani L, et al. FDA Approval Summary: Niraparib for the maintenance treatment of patients with recurrent ovarian cancer in response to platinum-based chemotherapy. Clin Cancer Res 2018 Apr 12. pii: clincanres.0042.2018. doi: 10.1158/1078-0432.CCR-18-0042.

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