I risultati dello studio clinico randomizzato SOLO1 (link articolo su fondazione) stanno aprendo nuovi orizzonti nella terapia dei tumori ovarici sierosi ad alto grado. Brevemente, lo studio ha dimostrato che l’aggiunta ai protocolli terapeutici classici dei PARPi, prolunga notevolmente il tempo libero da malattia nelle pazienti con sindromi eredo-famigliari di tumore ovarico cioè, in quelle donne in cui la malattia è causata da una mutazione nei geni BRCA1 o BRCA2. Questo articolo testimonia ancora una volta il lungo e faticoso cammino della ricerca scientifica per poter introdurre in clinica delle terapie che risultino realmente efficaci e vantaggiose per la salute.

Un editoriale che accompagna la pubblicazione del lavoro pone in luce alcune importanti criticità, sia di natura medica ma soprattutto etica, su cui è necessario riflettere, nell’interesse sia dei malati sia dei loro famigliari.
Riflessioni di carattere scientifico
Partiamo dalle considerazioni di natura medica.
L’utilizzo dei PARPi, come di tutti i farmaci, si accompagna sempre e comunque alla presenza di effetti tossici. Meno del 50% delle donne coinvolte nello studio clinico sono riuscite a portare a termine i due anni di terapia quotidiana con i PARPi. Nonostante esistano tutti gli “strumenti medici” per gestire a breve termine questi effetti collaterali, il midollo osseo di molte donne spesso non riesce a sopportare questi regimi terapeutici. Inoltre, non sappiamo ancora con certezza gli effetti dell’esposizione prolungata a questi composti.  Sebbene il rischio sia stimato sotto il 2%, è possibile che in pazienti trattate con PARPi aumenti il rischio di sviluppare sindromi mielo-displastiche e leucemie acute. Sono necessari ancora anni di studio per rispondere a questa domanda.
I PARPi sono noti come “farmaci incrementalisti”, cioè non sono in grado di curare la malattia ma permetto alla paziente di vivere per più tempo, tenendo sotto controllo la progressione della malattia. In termini medici questo viene espresso con un parametro noto come PFS (Progression Free Survival), che misura il tempo in cui la paziente non ha alcuna evidenza di progressione della malattia. Bisogna ancora aspettare delle nuove analisi per capire se questo aumento del tempo libero da malattia si traduce in un reale miglioramento della sopravvivenza, cioè sia in grado di curare la paziente dalla sua malattia.
Lo studio si è focalizzato solo ed esclusivamente sulle pazienti che hanno una sindrome eredo-famigliare cioè con mutazioni germinali in BRCA1/2. Non sappiamo ancora se questo schema di trattamento sarà vantaggioso anche per quelle donne che hanno una mutazione somatica in BRCA1/2 oppure hanno mutazioni in altri geni, di cui non sappiamo ancora bene il loro ruolo nello sviluppo della malattia.
Riflessioni di carattere etico
Il valore dello studio, e più in generale il vantaggio della medicina personalizzata, risiede proprio nell’aver identificato in modo corretto quelle pazienti che avendo una mutazione germinale e deleterea in uno dei due geni BRCA1 o BRCA2, possono avere un trattamento “personalizzato” che ne migliori la prognosi rispetto a quelle pazienti che non hanno questa mutazione.  Quindi, per essere efficace la terapia deve essere rivolta non solo alle pazienti mutate, ma a quelle donne in cui la mutazione ha delle conseguenze ben precise sulla funzione della proteina, cioè devono impedirne la sintesi (= deleterea). Ma non tutte le mutazioni sono uguali. E’ fondamentale non solo identificare la mutazione ma anche comprenderne le conseguenze. Per poter far questo esistono dei database pubblici che sono sempre aggiornati, condivisi dalla comunità scientifica in modo tale che ogni laboratorio di diagnostica e ogni ricercatore li possa consultare o aggiornare con i risultati delle sue ricerche. Questi database pubblici nascono dal contributo di tutta la comunità scientifica e sono al servizio di tutti per il bene comune.
Ad oggi, la classificazione delle mutazioni è largamente incompleta e molte delle mutazioni identificate, sono classificate come VUS (Variant of Unknown Significance, dall’inglese varianti a significato ignoto), cioè mutazioni di cui non sappiamo le conseguenze sulla funzione della proteina. Se pensiamo al concetto di medicina personalizzata e allo studio SOLO1, pazienti a cui è stata riscontrata una VUS, non possono essere arruolate nello studio.
Come riportato nell’editoriale che accompagna lo studio, le analisi genetiche delle pazienti che hanno partecipato allo studio SOLO1 sono state effettuate da una ditta privata, la Myriad, la quale da molti anni ha il più grande database di mutazioni ma per motivi economici non lo ha mai condiviso con nessuno, nemmeno con i medici dello studio SOLO1. Quindi, non è stato possibile incrociare i dati dei database pubblici con quelli del database privato e procedere ad una più corretta e accurata classificazione delle VUS in “deleteree” (e quindi potenzialmente trattabili con PARPi) da quelle invece non “deleteree” (e quindi non trattabili con PARPI). E’ facile immaginare il danno per quelle pazienti a cui non è stata classificata in modo corretto la mutazione in BRCA1 o BRCA2, e quindi sono state incorrettamente escluse dallo studio.
L’editoriale è molto duro su questo punto in quanto ritiene che sia eticamente inaccettabile che i pazienti diano il loro consenso allo studio e come dei moderni filantropi aiutino il progresso della scienza, mentre ci sono delle società private che pur partecipando allo studio, per motivi prettamente economici ne ostacolino il progresso scientifico cercando solo i loro interessi.
Questo amara considerazione deve essere uno spunto di riflessione per come si sta muovendo oggi il panorama mondiale della ricerca scientifica quando le strutture pubbliche non riesco a far fronte ai progressi tecnologi e delegano a società private la gestione dei dati genetici, senza una adeguata normativa a tutela dei cittadini.

Autore:
Sergio Marchini
Dipartimento di Oncologia Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS

Per saperne di più
Spriggs D, Longo DL. Progress in BRCA mutated Ovarian Cancer. NEJM 2018; 379: 2567-2568

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