Il 2019 si è concluso con importanti novità per quanto riguarda la terapia iniziale dei tumori ovarici sierosi ad alto grado. Novità che, dopo le approvazioni della agenzia regolatoria europea (EMA) e di quella italiana (AIFA), saranno in grado portare dei cambiamenti sostanziali agli attuali standard di terapia.

Quali sono le novità?
Durante i lavori dell’ultimo congresso dell’ESMO a Barcellona sono stati presentati, in anteprima mondiale, i risultati di due importanti studi clinici controllati di fase 3 mirati a valutare se i farmaci PARP inibitori (detti PARPi) somministrati subito dopo la prima linea di chemioterapia fossero in grado di aumentare la durata del tempo libero da malattia (parametro clinico noto anche con il termine inglese di Progression Free Survival, PFS), ritardando così la comparsa di una possibile recidiva. I due studi hanno dato risultati sovrapponibili pur avendo delle differenze nella modalità di conduzione dello studio. Nello studio denominato PRIMA, la terapia di mantenimento era basata sulla somministrazione del solo PARPi (cioè una monoterapia), mentre nello studio denominato PAOLA lo schema di trattamento prevedeva la combinazione del PARPi con un farmaco anti-angiogenico. Entrambi i risultati di questi studi sono stati pubblicato a dicembre sulla prestigiosa rivista medica internazionale The New England Journal of Medicine

Cosa sono i PARPi: sono una classe di farmaci che hanno mostrato attività antitumorale in quelle pazienti che portano delle mutazioni sia somatiche che germinali nei geni BRCA1 e BRCA2. La terapia con PARPi in queste pazienti causa un difetto nel funzionamento del sistema di riparazione del DNA – noto con il termine di sistema di riparazione per ricombinazione omologa (dall’inglese Homologous Recombination, abbreviato HR) – portando in modo selettivo le cellule difettive per i geni BRCA1 e BRCA2 alla morte.

E’ interessante sottolineare che in entrambi gli studi clinici non veniva fatta alcune selezione a priori delle pazienti in merito al loro stato mutazionale dei geni BRCA1 e BRCA2. Sia lo studio PRIMA sia lo studio PAOLA sono studi clinici controllati, internazionali e multicentrici, in cui le pazienti, dopo intervento chirurgico e una prima linea standard con carboplatino e taxolo, potevano ricevere una terapia orale e quotidiana, detta appunto terapia di mantenimento, con un PARPi per circa due anni.

Quali sono i risultati?
Dopo tanti anni di insuccessi e di fallimenti, finalmente dei risultati unici che aprono nuovi orizzonti e speranze. Il primo risultato importante è che in tutte le pazienti analizzate, a prescindere dalla presenza o meno di mutazioni nei geni BRCA1 o BRCA2, la terapia di mantenimento con PARPi dopo la prima linea di chemioterapia conferisce un vantaggio nella durata della PFS, risultando maggiore nelle pazienti con PARPi rispetto a quelle che non ricevevano alcun trattamento (braccio di controllo o placebo). Ad esempio, nello studio PRIMA la PFS delle pazienti trattate con PARPi é di 13.8 mesi mentre la PFS misurata nelle pazienti che ha ricevuto il placebo é di 8.2 mesi. Nello studio PAOLA, la PFS nel gruppo di pazienti trattate con PARPi è di 22.1 mesi contro i 16.6 mesi nel gruppo che ha ricevuto il placebo.
Questo vuol dire che dopo la prima linea, non è più consigliabile “sospendere” la terapia fino a quando la malattia potrà ricomparire, ma anzi è meglio continuare a trattare la paziente con una terapia orale, per almeno due anni, con un PARPi. Questo approccio allunga in modo significativo la PFS, e quindi ritarda la probabilità di una seconda recidiva.
Il secondo risultato riguarda invece il vantaggio che questo schema di trattamento ha nella popolazione che porta difetti di funzionamento non solo nei geni BRCA1 e BRCA2 ma più in generale nei sistemi di riparazione del DNA, definito in gergo tecnico con la sigla “HRD+”. Le analisi hanno dimostrato che circa il 50% dei casi analizzati sono HRD+, ma solo una quota di queste è difettiva perché mutata nei geni BRCA1 e BRCA2. Come già sottolineato in altri articoli, i soli geni BRCA1e BRCA2 non spiegano da soli la risposta ai PARPi ma si dovevano considerati ulteriori meccanismi. Nello studio PRIMA, la PFS calcolata nella popolazione HRD+ era di 21.9 mesi contro i 10.4 mesi della PFS calcolata nella popolazione che riceveva il placebo. Il tempo libero da malattia risultava essere il doppio anche nello studio PAOLA dove il PARPi era dato in combinazione con un farmaco anti-angiogenico. In questo studio la PFS nella popolazione HRD+ era di 37.2 mesi contro i 17.7 mesi della PFS calcolata nella popolazione che riceveva il placebo.
Per entrambi gli studi, i dati relativi alla sopravvivenza generale non sono ancora disponibili e le tossicità che accompagna questi schemi di trattamento erano comunque accettabili e clinicamente trattabili.

Che cosa è l’HRD e come si misura?
In generale, si può definire l’HRD come un nuovo parametro molecolare, alias un biomarcatore, fondamentale per capire come trattare le pazienti con tumore ovarico sieroso ad alto grado e se risponderanno alla terapia con PARPi. Nel dettaglio, l’HRD è una firma molecolare che racchiude in sé una serie di caratteristiche del genoma umano e definisce quanti difetti genetici sono stati accumulati dal genoma tumorale nel corso della sua progressione a causa di alterazioni nei sistemi di riparazione del DNA. Quindi l’analisi dell’HRD non dipende solo da mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2, ma anche da mutazioni inattivanti avvenute in altri geni coinvolti nei sistemi di difesa e riparazione del DNA. E’ un parametro complesso, sintesi di tanti difetti genetici che si sono verificati nella storia clinica del tumore. Circa il 50% delle pazienti con tumore sieroso ad alto grado dell’ovaio hanno un tumore con difetti nell’HRD (definito in gergo tecnico come HRD+). L’HRD è un parametro quantificabile che viene definito da un numero, da un valore.
Come si ottiene questo valore?  Su quali basi si definisce se un tumore è HRD+ o HRD-? Questo è oggi il vero problema. Un problema che coinvolge sia i ricercatori sia i decisori sanitari, perché dovranno essere fatte nei prossimi anni delle scelte di politica sanitaria a cui forse non siamo ancora pronti.
I valori di HRD pubblicati nei due studi clinici sono stati fatti da due aziende private che hanno sviluppato autonomamente i test e poi brevettati. Quindi non è possibile oggi sapere i dettagli di queste misure, cioè come sono fatti e quali algoritmi vengono utilizzati per decidere la soglia che definisce un campione come HRD+ o HRD-. Cosa ancora più grave, ai pazienti o ai loro medici curanti non vengono forniti i dati grezzi delle analisi, ma solo il risultato finale, sotto forma di un punteggio.

Ad oggi se questi protocolli terapeutici venissero approvati e entrassero nella pratica clinica, il costo del test (qualche migliaio di euro) sarebbe a carico del singolo paziente, o del SSN se questa prestazione venisse inclusa nella lista dei test rimborsabili. Credo che sia giunto il momento che il mondo dei ricercatori a livello europeo si unisca per creare delle alternative scientificamente valide, trasparenti e condivise sul piano metodologico per dare a tutte le pazienti, senza scopo di lucro, la possibilità di ricevere le cure migliori di cui hanno bisogno.
Credo che questo sia un atto etico a cui tutti noi dobbiamo aspirare e per cui lavorare.

Sergio Marchini
Dipartimento di Oncologia
Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS

Per saperne di più
Gonzalez-Martin A. et al.  Niraparib in Patients with Newly Diagnosed Advanced Ovarian Cancer.. NEJM 381; 25 pg. 2391-2402. December 19, 2019.
Ray-Coquard I., et al. Olaparib plus Bevacizumab as First-Line Maintenance in Ovarian Cancer NEJM 381; 25 pg. 2416-2428. December 19, 2019.

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