Il tumore dell’endometrio è il secondo tumore ginecologico più frequente tra le donne dopo il tumore al seno e rappresenta l’8-10% dei tumori femminili nei Paesi industrializzati con un’incidenza di 20/100000 casi all’anno. Si tratta di una patologia che colpisce prevalentemente le donne in menopausa e che ha fra i suoi fattori di rischio gli ormoni femminili, motivo per cui colpisce più frequentemente le donne obese, diabetiche, affette da ovaio policistico. Altri fattori di rischio possono essere rappresentati dalla storia di tumore al seno e dal conseguente utilizzo di Tamoxifene: queste donne sono soggette ad un’osservazione più “stretta” dello spessore endometriale tramite ecografie transvaginali periodiche. Inoltre studi recenti hanno dimostrato che anche la dieta e l’esercizio fisico hanno un impatto non trascurabile su questa patologia. Infine, sindromi genetiche come la sindrome di Lynch o di Cowden necessitano di un’appropriata indagine genetica e di un’attenta sorveglianza clinica.

A differenza di patologie più “silenti” come la neoplasia ovarica, il tumore dell’endometrio presenta come sintomo caratteristico il sanguinamento dai genitali esterni. Questo avvenimento, soprattutto se riscontrato in menopausa, deve essere gestito tempestivamente tramite indagini come l’ecografia, il prelievo bioptico tramite curettage endouterino o isteroscopia e, in caso di neoplasia conclamata, eventuali esami radiologici. Molte pazienti ricevono la diagnosi in stadio precoce e hanno una buona sopravvivenza (87-96% di queste pazienti risultano vive dopo 5 anni dalla diagnosi).

Le linee guida per la gestione della malattia confinata all’utero, quindi in stadi iniziali, prescrivono l’intervento chirurgico di asportazione totale di utero, cervice uterina, tube e ovaie e la valutazione dei linfonodi locoregionali per stabilire lo stadio anatomopatologico della malattia (“stadiazione”). Queste informazioni possono guidare le decisioni relative al trattamento postoperatorio, in particolare la scelta di eseguire o meno la chemioterapia e la radioterapia adiuvanti.

 

Che cos’è il linfonodo sentinella e come si preleva e analizza?

Il linfonodo sentinella è il primo linfonodo che drena le cellule tumorali provenienti dall’endometrio. Una volta superata questa stazione le cellule tumorali possono metastatizzare ai linfonodi successivi o anche al di fuori della pelvi. Durante l’intervento chirurgico viene fatta un’iniezione di tracciante chiamato Verde Indocianina a livello della cervice uterina; poi con una luce appropriata viene “cercato” il linfonodo che emette maggiormente il colore verde, viene asportato chirurgicamente e quindi esaminato dall’anatomopatologo utilizzando una tecnica particolare chiamata ultrastaging immunoistochimico.

 

Quando è utile eseguire la biopsia del linfonodo sentinella?

Storicamente, la stadiazione chirurgica comportava l’asportazione sia dei linfonodi della pelvi che dei linfonodi che si trovano vicino all’arteria aorta (para-aortici). Questa procedura però ha dato dei risultati non univoci sulla sopravvivenza delle pazienti. Per questo motivo la linfoadenectomia è considerata utile solo per la stadiazione del tumore e non per migliorare la prognosi delle pazienti. Alla luce di questi dati, si è quindi pensato di fare un passo indietro introducendo la tecnica del linfonodo sentinella, già utilizzata routinariamente negli interventi di chirurgia mammaria e di melanoma, asportando solo il primo linfonodo della catena. Se il linfonodo sentinella risulta invaso dalle cellule tumorali, la prognosi della paziente è più critica e probabilmente si prenderanno in considerazione la chemioterapia e radioterapia adiuvanti; se il linfonodo sentinella non è sede di metastasi, invece, è possibile che la paziente passi direttamente alle visite di monitoraggio senza ulteriori terapie. Se per caso il tracciante non evidenziasse chiaramente un solo linfonodo sentinella, sarà necessario togliere tutti i linfonodi regionali.

 

Quali sono i vantaggi di questa tecnica?

Il principale vantaggio è sicuramente la minore “aggressività” dell’intervento chirurgico stesso. In particolare nel caso in cui il linfonodo sentinella risulti negativo, gli altri linfonodi regionali dello stesso lato possono essere risparmiati e lasciati nella loro sede. Questo riduce i potenziali danni chirurgici della linfoadenectomia: talvolta, asportando i linfonodi, si può danneggiare l’intero sistema linfatico, con il risultato che la linfa si accumula negli arti inferiori della paziente che possono gonfiarsi e dare dolore. Altre volte, molto più raramente, sono possibili danneggiamenti dei vasi sanguigni o dei nervi. Un altro vantaggio è che la biopsia del linfonodo sentinella può migliorare la stadiazione della malattia, identificando casi in cui il drenaggio linfatico aberrante è sfuggito alla linfoadenectomia tradizionale.

 

Per concludere

Pur tenendo in considerazione che servono ulteriori studi per migliorare la nostra conoscenza sulla sopravvivenza e per migliorare la standardizzazione della tecnica, la biopsia del linfonodo sentinella rappresenta una valida modalità per stadiare correttamente i tumori confinati al corpo dell’utero, riducendo le problematiche della linfoadenctomia classica.

 

 

 

Giulia Parpinel e Maria Elena Laudani

Università degli Studi di Torino,

Scuola di Specializzazione in Ginecologia e Ostetricia,

Dipartimento di Scienze Chirurgiche

Utilizziamo i cookie, inclusi cookie di terzi, per consentire il funzionamento del sito, per ragioni statistiche, per personalizzare la sua esperienza e offrirle la pubblicità che più incontra i suoi gusti ed infine analizzare la performance delle nostre campagne pubblicitarie. Può accettare questi cookie cliccando su "Accetto", o cliccare su ''Gestione cookie'' nel footer del sito per impostare le sue preferenze. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi