La ricerca delle mutazioni dei geni BRCA1 e 2 fa ormai parte della pratica clinica da diversi anni, ma le indicazioni sull’esecuzione si stanno pian piano allargando coinvolgendo una fetta sempre più grande di pazienti affetti da neoplasie ginecologiche e non e dei relativi familiari.

Come è noto, la presenza di una variante patogenetica in uno dei due geni è associata ad un aumentato rischio di tumore dell’ovaio, della mammella, del pancreas e della prostata.

Lo scopo del test genetico è duplice:

  • prevenzione: nei soggetti asintomatici portatori di mutazione germinale si possono attuare strategie di prevenzione primaria (cambiamenti nello stile di vita, nell’alimentazione, ecc) e/o secondaria (mammografia ed ecografia mammaria, esami di screening, ecc) oppure altre strategie per ridurre il rischio di sviluppare tali neoplasie;
  • pianificazione terapeutica: conoscere lo stato mutazionale nei pazienti con una diagnosi oncologica permette di attuare strategie terapeutiche mirate e personalizzate mediante l’utilizzo di farmaci noti come Parp (poli-ADP ribosio polimerasi) inibitori.

 

I fattori che vengono presi in considerazione per valutare l’esecuzione della consulenza genetica sono diversi, tra questi: tipo di tumore (tipo istologico), numero di parenti affetti da neoplasie, presenza di tumori primitivi multipli, età alla diagnosi, caratteristiche tumorali, ecc.

 

Per quanto riguarda i tumori ovarici e mammari le indicazioni all’esecuzione del test genetico sono le seguenti:

  • carcinoma mammario maschile
  • donna con storia di carcinoma ovarico e mammario
  • tumore mammario giovanile (età alla diagnosi <36 anni)
  • tumore mammario triplo negativo in donne di età inferiore ai 60 anni
  • carcinoma mammario giovanile (età < 50 anni) bilaterale
  • diagnosi di carcinoma ovarico (ad eccezione dell’istotipo mucinoso e dei tumori borderline)

In assenza delle condizioni sopraindicate, ci sono altre indicazioni per la ricerca delle mutazioni BRCA:

  • donne con diagnosi di tumore mammario con età inferiore ai 50 anni e parenti di primo grado (genitori, figli, fratelli/sorelle) con tumore mammario maschile, bilaterale, carcinoma ovarico (non mucinoso e non borderline) o carcinoma mammario giovanile (< 50 anni)
  • pazienti con tumore mammario non giovanile (> 50 anni) e con familiarità per carcinoma ovarico, mammario, prostatico o pancreatico in due o più parenti di primo grado tra loro (ad esempio mamma e zia materna, mamma e nonna materna, ecc.)

In caso di riscontro di mutazioni BRCA1/2 è prevista una consulenza genetica/oncologica associata al test genetico ai parenti di primo grado che ne fanno richiesta. In caso di positività potranno essere attuate strategie preventive conservative e/o radicali per la prevenzione del carcinoma mammario e ovarico.

 

Per quanto riguarda la seconda applicazione menzionata sopra, ovvero ai fini del percorso terapeutico il discorso è sicuramente più complesso. Generalmente la ricerca di mutazioni dei geni BRCA1-2 viene fatta su sangue periferico della paziente (mutazione germinale). Negli ultimi anni, tuttavia, si è sempre più diffusa l’indagine genetica somatica, ovvero quella condotta direttamente sul pezzo istologico derivante da una biopsia o da un intervento di chirurgia radicale in seguito ad una diagnosi di carcinoma maligno. Sia che la mutazione venga identificata a livello germinale che somatico è ormai noto e dimostrato che la presenza o l’assenza della stessa implichi una diversa risposta alle terapie mirate in particolare i sopra citati Parp inibitori.

 

Per quanto riguarda il tumore ovarico l’indicazione all’esecuzione del test per la ricerca di mutazioni dei geni BRCA riguarda tutte le pazienti con una diagnosi di carcinoma ovarico non borderline e non mucinoso. La presenza di una mutazione sia essa germinale o somatica è un fattore predittivo di maggior risposta a combinazioni di terapia contenenti derivati del platino, doxorubicina liposomale e trabectedina oltre che a terapie di mantenimento con Parp Inibitori (olaparib, Rucaparib, Niraparib) in prima o seconda linea di terapia. Nonostante tutto è stato comunque dimostrato che anche le pazienti cosiddette wild type (ovvero che non presentano mutazioni patogenetiche dei geni BRCA1/2) possono beneficiare di trattamenti di mantenimento con Parp Inibitori dopo una chemioterapia a base di platino.

 

Per completare il quadro sui Parp Inibitori si riportano di seguito le diverse indicazioni al momento condivise:

  • Olaparib: il primo di questa famiglia ad essere stato utilizzato ma anche quello che al momento presenta come unica indicazione la terapia di mantenimento in prima o in seconda linea (dopo la prima recidiva di malattia) di pazienti con carcinoma epiteliale dell’ovaio di alto grado avanzato (sieroso, stadio III/IV), dopo la risposta (completa o parziale) ad una chemioterapia a base di platino nelle sole pazienti con mutazione BRCA1/2
  • Niraparib: terapia di mantenimento in prima linea in pazienti con tumore ovarico sieroso avanzato (III/IV stadio) in prima linea e tumore ovarico recidivato a prescindere dallo stato mutazionale BRCA
  • Rucaparib: l’ultimo ad essere immesso in commercio tra i Parp Inibitori è indicato in monoterapia come mantenimento dopo recidiva platino sensibile di carcinoma ovarico epiteliale (sieroso ed endometrioide) in risposta dopo terapia a base di platino. Una seconda indicazione (che insieme al fatto di poter essere utilizzato anche negli istotipi endometriodi lo differenzia dai precedenti) è il trattamento monoterapico di pazienti con carcinoma ovarico platino sensibile in recidiva o progressione che hanno già ricevuto due o più linee di chemioterapia a base di platino e che non possono tollerare un ulteriore linea di terapia a base di platino.

 

Giulia Parpinel e Maria Elena Laudani

Università degli Studi di Torino,

Scuola di Specializzazione in Ginecologia e Ostetricia,

Dipartimento di Scienze Chirurgiche

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