Il tumore ovarico ed in particolar modo l’istotipo sieroso ad alto grado è una malattia molto complessa caratterizzata da una spiccata eterogeneità che condiziona il suo decorso clinico.

Anche dal punto di vista terapeutico non esiste ancora una uniformità di approccio. Chirurgia e chemioterapia sono i due capisaldi del percorso terapeutico per ogni paziente che riceve diagnosi di tumore epiteliale maligno dell’ovaio, ma l’ordine con sui questi sono eseguiti è ancora oggi in fase di discussione. Esistono infatti due opzioni disponibili entrambe finalizzate ad eradicare il più possibile ogni possibile micro-metastasi che poi potrebbe dare luogo ad una recidiva con caratteristiche di resistenza e quindi difficilmente curabile.

Il primo protocollo predilige in prima istanza una chirurgia molto aggressiva finalizzata a rimuovere ogni piccola metastasi visibile dalla paziente a cui segue una terapia farmacologica, basata principalmente su carboplatino e taxolo, che mira a sterilizzare ogni eventuale micro-metastasi sfuggita all’occhio del chirurgo durante l’intervento chirurgico. Questo tipo di approccio, detto adiuvante, viene effettuato dopo una attenta valutazione delle condizioni fisiche della paziente e della estensione della malattia.

Nel protocollo neo-adiuvante invece, proposto alle pazienti con una malattia molto estesa e difficilmente operabile, viene prima proposto un protocollo di 3 o 4 cicli di terapia di carboplatino e taxolo per ridurre l’estensione della malattia e renderla quindi più facilmente aggredibile da parte del chirurgo. Dopo l’intervento, che è meno “aggressivo” per le condizioni fisiche della paziente, si continua con altri 2 o 3 cicli di chemioterapia per sterilizzare eventuali metastasi non rimosse.

La scelta per uno dei due protocolli è quindi basata sula decisone del chirurgo e dell‘oncologo che valutano la gravita della malattia e le condizioni fisiche della paziente, la paziente dovrebbe ricevere tutte le adeguate informazioni. Ad oggi non sappiamo quale dei due protocolli garantisca una miglior sopravvivenza in quanto gli studi clinici randomizzati di tipo chirurgico che hanno affrontato in questi anni il problema, non hanno dato una risposta univoca.

C’è qualche novità?

Il problema di capire quale dei due protocolli – adiuvante o neo adiuvante – possa garantire una miglior sopravvivenza alle pazienti viene affrontato in una pubblicazione scientifica in cui viene sviluppato un algoritmo matematico, basato sull’uso dell’intelligenza artificiale, che analizzando retrospettivamente tutti i dati dei principali trials clinici chirurgici cerca di creare un modello per predire in modo rigoroso quale sia l’approccio terapeutico migliore.

Quali sono i risultati?

Utilizzando una coorte multicentrica retrospettiva di 285 pazienti con diagnosi di tumore ovarico sieroso ad alto grado, stadio III/IV, operate tra il 2001 e il 2011 e di cui erano disponibili tutti i dati clinici, il modello matematico messo a punto dai ricercatori ha evidenziato i seguenti punti:

  • Nelle pazienti che alla diagnosi hanno una estensione contenuta del tumore, l’approccio adiuvante conferisce dei vantaggi in termini di sopravvivenza rispetto alle pazienti che fanno il protocollo neo adiuvante.
  • La diagnosi precoce è fondamentale per la sopravvivenza delle pazienti che fanno terapia adiuvante, meno per quelle che fanno terapia neo adiuvante. Prima si interviene, quando la malattia è ancora poco metastatica e più facile sarà per il chirurgo eradicare tutte le metastasi presenti.
  • Anticipare la diagnosi di recidiva non porta ad alcun vantaggio in termini di sopravvivenza se alla seconda linea le pazienti sono trattate ancora con lo stesso schema terapeutico iniziale. La recidiva è popolata già da cellule resistenti, quindi esporle agli stessi farmaci non fa altro che aumentare la probabilità di selezionare e far crescere cloni resistenti. E fondamentale quindi utilizzare dei nuovi approcci diagnostici, come la biopsia liquida, per caratterizzare la biologia della malattia che recidiva e quindi razionalizzare i protocolli terapeutici.

Quali conclusioni

La conclusione generale di questo studio può essere riassunta in un concetto fondamentale: a causa della marcata eterogeneità del tumore, cloni di cellule tumorali sono già presenti all’esordio della malattia. Quanto più la malattia è in fase avanzata, tanto maggiore è la probabilità che queste siano presenti al momento della diagnosi (per questo è importante la diagnosi precoce). La chirurgia in prima istanza è l’ideale per rimuovere il più possibile ogni micro metastasi lasciando alla terapia farmacologica il compito di ridurre al minimo la probabilità che questi cloni crescano. Invertire il protocollo, come suggerisce l’approccio neo-adiuvante, può in realtà aumentare il rischio che cloni resistenti, non eradicati dal successivo intervento chirurgico, siano selezionati. Anticipare la recidiva è importante se abbiamo a disposizione un armamentario terapeutico diverso da quello iniziale cosi da ampliare la possibilità di eradicare i cloni resistenti.

 

Sergio Marchini

Head, Molecular Pharmacology Lab

IRCCS, Humanitas Research Hospital, Milano

 

Per saperne di più

Gu et al. Computational modeling of ovarian cancer dynamics suggest optimal strategies for therapy and screening. Proc Natl Acad Sci U S A. 2021 Jun 22;118 (25):e2026663118. doi: 10.1073/pnas.2026663118.PMID:34161278

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