La scoperta circa 15 anni fa che era possibile “uccidere” in modo selettivo in vitro cellule tumorali con mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2 mediante inibizione della funzionalità del gene PARP (principio della letalità sintetica) ha permesso di sviluppare delle nuove molecole, dette appunto inibitori di PARP (PARPi), che hanno rivoluzionato completamente la terapia di prima linea dei tumori ovarici sierosi ad alto grado.

Gli studi clinici che si sono succeduti negli anni hanno dimostrato la validità terapeutica di questo approccio e parallelamente si sono sviluppati tutta una serie di test (e.g., BRCA1/2, HRD assay) per capire, o meglio per predire, quali pazienti avessero le caratteristiche molecolari idonee per ricevere i benefici di questo tipo di strategia e allo stesso tempo per quali pazienti l’esposizione a questa terapia avrebbe comportato più rischi che benefici.

I PARPi sono quindi un classico esempio di medicina personalizzata in cui la scelta di dare o non dare il farmaco viene fatta sulla base del profilo genomico (HRD) o di un singolo gene (BRCA1/2). Come per tutti i farmaci a bersaglio noto entrati in clinica negli ultimi anni, anche per i PARPi purtroppo il fenomeno della resistenza ha accompagnato il loro impiego clinico. È esperienza clinica consolidata che donne inizialmente sensibili a questa terapia, con il passare del tempo non rispondono più alla stessa dose ma per avere un effetto terapeutico dobbiamo iniziare ad alzare le dosi di farmaco, aumentando purtroppo gli effetti collaterali. In breve le pazienti diventano progressivamente resistenti. La resistenza acquisita purtroppo continua ad essere il principale problema che la chemioterapia deve affrontare. Per anni si è erroneamente pensato che i farmaci di precisione sarebbe stati scevri dal problema della resistenza e invece, purtroppo, non è così. La resistenza acquisita è un problema clinico costante che tra le sue radici dalle caratteristiche intrinseche del tumore stesso.

Abbiamo oramai imparato che il tumore non deve essere visto come una patologia statica ma bensì dinamica in quanto continua a cambiare il suo assetto genomico. La fotografia molecolare che si esegue alla diagnosi ad esempio, non è assolutamente rappresentativa della fotografia molecolare che si potrebbe fare dopo la prima linea di terapia. Il tumore deve essere oggi visto come un ecosistema in continua evoluzione in cui le varie popolazioni cellulari che lo compongono si espando a seconda delle condizioni fisiologiche dell’ambiente in cui vivono. Molti lavori stanno emergendo in letteratura che descrivono la comparsa di diversi meccanismi di resistenza a molti farmaci a bersaglio noto e anche ai PARPi (1).

Alcuni di questi meccanismi possono essere legati direttamente al meccanismo d’azione del farmaco e quindi le cellule inizialmente difettive per il sistema di riparazione del DNA ora acquisiscono caratteristiche molecolari in grado di riparare il danno al DNA. Altri meccanismi sono invece indiretti e riguardano la capacità delle cellule di aumentare i loro meccanismi di difesa aspecifici, come ad esempio la presenza di sistemi di detossificazione cellulare o la presenza di vere e proprie pompe di membrana che riducono l’accumulo intracellulare del farmaco. Altri esempi di meccanismi aspecifici riguardano il cambiamento della matrice extracellulare in cui sono disperse le cellule tumorali. Questa struttura inizialmente fluida e permeabile diventa progressivamente più “rigida” e impermeabile al passaggio delle molecole, rappresentando quasi uno scudo di protezione a qualsiasi sostanza.

Cosa fare?

La resistenza acquisita ha rappresentato da sempre un problema clinico notevole sia per i farmaci convenzionali che per quelli a bersaglio noto. Questo problema può essere affrontato attraverso due approcci. Il primo, in linea con quanto è sempre stato fatto in passato, prevede l’utilizzo dei farmaci a bersaglio noto in associazione in prima linea con altre molecole. La filosofia che sta dietro l’approccio polichemioterapico è quella di aggredire fin da subito il tumore su più fronti accoppiando i PARPi con famaci con diversi meccanismi d’azione in modo da aumentare il ventaglio di possibilità di uccidere più cloni possibili. Il secondo approccio invece, complementare al primo, prevede la possibilità di un monitoraggio costante delle caratteristiche del tumore per capire per tempo quali sono le nuove caratteristiche molecolari che caratterizzano il tumore che sta diventando resistente in modo da proporre un secondo schema terapeutico che sia basato sull’evoluzione delle caratteristiche del tumore e non sulla fotografia inziale. Oggi la biopsia liquida, cioè la possibilità di seguire nel tempo in modo dinamico l’evoluzione del tumore attraverso una semplice prelievo di sangue, sembra essere lo strumento ideale per rispondere a questa domanda.

La ricerca scientifica rappresenta ancora oggi l’unico valido strumento in grado di dare delle risposte alle problematiche che emergono dalla pratica clinica.

Sergio Marchini

Head, Molecular Pharmacology Lab

IRCCS, Humanitas Research Hospital, Milano

Per saperne di più

Prados-Carvajal R, Irving E, Lukashchuk N, Forment JV. Preventing and Overcoming Resistance to PARP Inhibitors: A Focus on the Clinical Landscape”. Cancers 2022, 14:44. https://doi.org/10.3390/cancers14010044

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