Lo sviluppo di nuovi farmaci antitumorali per la terapia dei carcinomi ovarici sierosi ad alto grado ha vissuto in questi anni una nuova primavera con l’introduzione prima dei farmaci anti-angiogenici e, di recente, dei farmaci che bloccano l’enzima PARP (coinvolto nei sistemi di riparazione del DNA), più comunemente noti con l’acronimo di PARPi.

Studi clinici internazionali, sia in seconda linea e che in prima linea, hanno chiaramente dimostrato che il vantaggio terapeutico della terapia con PARPi non è uguale per tutte le pazienti con diagnosi di tumore sieroso ad alto grado. Risulta infatti più marcato in quelle pazienti che hanno una mutazione germinale o somatica nei geni BRCA1/BRCA2, oppure nelle pazienti il cui tumore ha dei difetti nei sistemi di riparazione omologa del DNA, comunemente note come pazienti con tumore “HRD” (acronimo dall’inglese: “Homologous Recombination Deficiency”). Studi scientifici hanno dimostrato che circa il 50% delle diagnosi di tumori sierosi ad alto grado è relativo a pazienti con tumore HRD, e quindi eleggibili per la terapia con PARPi. Identificare in modo corretto le pazienti con queste caratteristiche molecolari per poterle poi indirizzare ad un protocollo terapeutico con PARPi è oggi un’esigenza clinica fondamentale per migliorare la terapia e la cura dei tumori ovarici, riducendo quanto più possibile gli effetti collaterali intriseci alla terapia stessa.

 

Come si misura l’HRD?

Le pazienti che hanno un tumore deficitario nei sistemi di riparazione omologa del DNA sono identificate attraverso dei test molecolari basati sul sequenziamento del DNA.

Questi test evidenziano delle alterazioni strutturali – cicatrici, in gergo tecnico – che si formano nel genoma dei tumori HRD perché la cellula cerca di riparare in modo non corretto dei danni al DNA. Ovviamente, queste cicatrici sono poco presenti nei tumori delle pazienti che hanno una riparazione omologa funzionante (definite HRP, dall’inglese: Homologous Ricombination Proficiency). Il problema clinico è identificare il test molecolare che meglio riesce a distinguere le pazienti HRD da quelle HRP e che permette di definire:

  • quelle pazienti che potranno beneficiare di un trattamento, in questo caso terapia con PARPi,

oppure

  • quelle pazienti per le quali è meglio evitare la terapia con PARPi perché sono già resistenti a questa terapia.

 

Dal punto di vista tecnico, gli studi clinici ad oggi hanno validato soltanto due tipi di misure:

  • quella basata sul biomarcatore LOH (dall’inglese: Loss Of Heterozigosity – mancanza di eterozigosità)

e

  • quella basata sulla somma algebrica di tre parametri LOH+TAI+LST (dall’inglese, rispettivamente: Telomeric Allelic Imbalance – bilancio allelico dei telomeri – e Large Scale Transition – transizione su larga scala), definita generalmente come GIS (dall’inglese: Genomic Instability Score – punteggio di instabilità genomica).

Questi biomarcatori sono parte integrante di due diversi test commerciali e coperti da brevetto.

 

Dove eseguire il test?

Questo è il problema principale: i due test oggi commercialmente disponibili e clinicamente validati per identificare le pazienti HRD non possono essere eseguiti in ogni ospedale, ma devono essere fisicamente mandati a due grosse aziende americane, che detengono il monopolio mondiale per queste misure. I test sono estremamente costosi e in Italia non sono rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale.

 

Come risolvere questo problema?

Il mondo accademico, sia nazionale che internazionale, ha cercato in modo concreto di risolvere questo problema con lo sviluppo e la validazione di test alternativi, che avessero non solo dei prezzi contenuti ma che fossero anche disponibili a tutta la comunità scientifica. Questi test devono inoltre risolvere alcuni problemi intrinseci ai test commerciali, come la percentuale di casi falliti, o la difficoltà di identificare sin dall’esordio le pazienti resistenti alla terapia con PARPi.

In Italia i due principali gruppi cooperativi in ginecologia oncologica, il MITO e il MaNGO, hanno deciso due anni fa di unire i loro programmi di ricerca traslazionale e sviluppare assieme dei test per intercettare le pazienti HRD eleggibili per la terapia con i PARPi. Tre laboratori hanno partecipato a questo progetto, due sviluppando dei test genomici basati sul sequenziamento massivo parallelo del DNA, mentre il terzo ha sviluppato un test funzionale.

 

Quale sviluppo futuro?

I dati di questo sforzo, come è nella tradizione della ricerca accademica, sono stati condivisi con la comunità scientifica e pubblicati di recente sulla rivista internazionale ESMO Open Journal. In breve, in questa prima fase retrospettiva su campioni provenienti da uno studio clinico, i due test basati su una tecnica di sequenziamento di ultima generazione sono risultati sovrapponibili ai risultati del test commerciale, mentre il test funzionale, più complesso e ancora pioneristico, è risultato per ora meno performante. Inoltre, il test sviluppato in laboratorio ha validato le sue osservazioni anche in una seconda coorte di campioni proveniente dallo studio clinico PAOLA-1.

Il passo successivo sarà quello di validare prospetticamente questi risultati in uno studio clinico internazionale perché questo ad oggi è l’unica modalità disponibile per dare validità clinica al test.  Questi nuovi test accademici hanno il vantaggio di rendere sempre disponibili per la comunità scientifica i dati generati e rappresentano una sorgente inesauribile di informazioni che potranno essere utilizzate man mano che la ricerca acquisisce sempre e nuove conoscenze sulla biologia dei tumori e sulle loro caratteristiche molecolari.

 

Sergio Marchini

Head, Molecular Pharmacology Lab

IRCCS, Humanitas Research Hospital, Milano

 

Per saperne di più

Capoluongo ED et al. Alternative academic approaches for testing homologous recombination deficiency in ovarian cancer in the MITO 16A/MaNGO-OV2 trial. ESMO Open 2022;7(5):100585. doi: 10.1016/j.esmoop.2022.100585.

Ray-Coquard I, et al. Olaparib plus Bevacizumab as First-Line Maintenance in Ovarian Cancer I. N Engl J Med 2019; 381:2416-2428 DOI: 10.1056/NEJMoa1911361.

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